Foum Tataouine

9 maggio 1990, mercoledì

Si parte per Chenini col solito Peugeot 404 station wagon abbastanza malridotto. Fino a Chenini la strada è asfaltata, circa venti chilometri; il paesaggio è brullo con qualche palma e piccolissime piantagioni di ulivo a rompere la monotonia. Nei giorni scorsi è piovuto molto per cui non c’è molta polvere e nei letti dei torrenti è rimasta dell'acqua; nel terreno sabbioso e pietroso ci sono molti ciuffi d'erba, che visti in piano danno l'impressione di una immensa prateria ma da vicino ci si accorge che ogni ciuffo dista dall’altro più di mezzo metro.
Si incontra prima Chenini nuova a valle poi alzando lo sguardo verso il monte che la sovrasta si nota che la cima è tutto un insieme di costruzioni perfettamente mimetizzate; l’unica cosa che le tradisce è la solita Moschea bianca. Moschea dedicata ai Sette Dormienti, sette cristiani che vennero uccisi per motivi religiosi dai romani in questa zona e che come martiri divennero poi santi islamici.
La zona più antica del villaggio berbero si trova nella zona alta della montagna, è fortificata, quasi inaccessibile, ormai disabitata, aveva funzioni difensive e mimetiche nei confronti dei turchi che intorno al mille invasero la Tunisia distruggendo tutto ciò che incontravano. Cessato il pericolo turco si iniziò a edificare un po’ più a valle in modo più accessibile ma sempre difficoltoso; è ancora abitata da alcune famiglie berbere. Oggi la residenza dei berberi della zona è un anonimo villaggio costruito a valle non lontano dalla strada principale.
Dal punto di vista architettonico le due città vecchie uniscono i due tipici stili di costruzione berbera rappresentati dai trogloditi, scavati nella roccia con funzioni abitative, e dalle ghorfas costruiti davanti all’ingresso dei trogloditi con funzioni di granaio e magazzino; essendo fatte con pietre della montagna stessa unite a secco, le costruzioni hanno assunto una monocromia tale che le mimetizza perfettamente tanto che da lontano la montagna sembra brulla, priva di vita.
Le donne vestono abiti dai colori sgargianti; unico mezzo di trasporto da valle al paese sono i piedi o i ciuchi.
Il nostro autista ci ha seguiti nel nostro giro spiegandoci qualcosa e comunque senza ostacolarci nei nostri movimenti o farci fretta come le guide ufficiali. Per raggiungere Douiret seguiamo una pista in terra battuta, in alcuni tratti addirittura pietrosa; il 404 arranca e più volte si ferma sulle salite. Guadato un piccolo torrente formatosi con le piogge dei giorni scorsi; é tutto montagnoso. Nelle gole tra due monti sono stati creati degli sbarramenti a scalinate, tipo terrazzi, in modo da raccogliere la maggior quantità di acqua piovana possibile e qui sono state impiantate delle piccole oasi molto curate; il resto é tutto altopiano brullo con delle cime montane corrose in modo molto simile a quelle del west americano, teatro dei famosi films.
Anche Douiret si annuncia, come Chenini, prima con la città nuova a valle e poi su in cima con le due città vecchie perfettamente mimetizzate tranne la bianca Moschea. Al contrario di Chenini questa è completamente disabitata, tranne un paio di famiglie che ancora resistono e non certo per fini turistici visto che mentre mi avvicinavo a loro è sbucato un cane che con fare minaccioso mi ha costretto a tornare sui miei passi. Nonostante l'abbandono, molte ghorfas con relativi trogloditi sono ben conservati, tanto che nel loro interno ci sono ancora integre le giare di terracotta dove venivano conservati olio e grano. Le nuvole di questa mattina sono scomparse lasciando il posto a un cielo azzurro che contrasta a meraviglia con il color ocra delle case e del monte.
Ritorniamo a Tataouine sostando brevemente a casa dell’autista; avevamo pattuito con lui un compenso di 20dt per tutta la mattinata ma visto i risultati gliene diamo 25. Mostra di gradire, per cui tutti felici e contenti ci salutiamo dopo aver bevuto insieme al bar. Nel pomeriggio raggiungiamo a piedi una vecchia cittadella che si vede in lontananza in vetta a una collina che sovrasta Tataouine. Azelio è vestito con tunica e fez. Quello che da lontano sembrava una cittadella non è altro che un insieme di ghorfas; considerando che sono costruite in pietra e argilla è sorprendente che buona parte sia ancora in piedi. Di qui si gode un ottimo panorama su Tataouine e i suoi quartieri periferici, inoltre c’è un bel venticello che fa star bene anche al sole.
Scendiamo dal versante opposto a quello della città. Azelio ha sempre citato una massima di un noto fotografo francese secondo il quale il buon fotografo si deve confondere con la gente senza farsi notare; a giudicare dal fatto che tutti quelli che ci incrociano ridono a crepa pelle penso proprio che non siamo riusciti a passare inosservati. Il clou si è avuto quando siamo passati davanti a una scuola nel momento in cui gli alunni uscivano; o erano tutti felici d'aver finito la lezione quotidiana o l'abbigliamento di Azelio aveva qualche pecca.
Scendiamo nuovamente dall’albergo, questa volta in abiti normali; chiediamo informazioni, su come raggiungere Zarzis, al guardiano della rimessa dei bus che parla discretamente l’italiano. Ha lavorato per una ditta italiana di tubi in Tunisia; dopo un po’ di conversazione nel suo gabbiotto ci chiede se vogliamo un po’ di tè. Pensando che l’avesse già pronto accettiamo, ma da qui a berlo passerà circa un'ora. Per prima cosa raccatta gli attrezzi, cioè due bricchi con beccuccio, una bacinella con acqua e due bicchieri, una fornacella con carbone già piazzato, una lattina per acqua più una serie di confezioni di carta di giornale contenenti una il tè, uno lo zucchero e uno la menta. Ora accende i carboni nella fornacella con carta, cartoni, legnetti e qualche goccia… di benzina. Aspettando che i carboni raggiungano la giusta temperatura, va dalla signora che abita di fronte al deposito e si fa riempire la lattina di acqua poi manda un ragazzo che passa di lì per caso a comprare un po’ di zucchero. Dopo una mezz’ora la fornacella viene portata nel gabbiotto per iniziare la preparazione vera e propria. Prende un bricco e ci mette un po’ d'acqua e un pugno di tè, questo serve solo a sciacquare sia il bricco che il tè, infatti, dopo una breve agitatina, getta l'acqua, ne aggiunge dell'altra e mette il bricco sulla brace. Dopo una decina di minuti aggiunge una manata di zucchero; nell'altro bricco ha messo un mazzetto di menta secca e ci versa dentro il tè filtrato che nel frattempo è arrivato a ebollizione nell'altro bricco. Rimette il tutto sulla brace per altri dieci minuti dopo di che è pronto per essere bevuto: ottimo.
Cenato all'hotel La Gazzelle con insalata di tonno, uova e peperoni, agnello alla brace con patate fritte, due birre a testa e una bottiglia di acqua minerale pagando 12,800t in due. Per due volte consecutive, alla nostra richiesta del conto, il cameriere ci ha portato un dolce a testa; normale pasta frolla esterna che avvolge un miscuglio di nocciole, mandorle e altra frutta secca tritata, mista a miele, miele che ricopre poi il tutto, il tutto molto buono. La prima volta abbiamo pensato a un omaggio della ditta, la seconda abbiamo capito che… non ha capito.

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