Dakar

27 maggio 2023, sabato

La rotta quasi dritta corre nell'entroterra e finiamo in acqua di là della penisola con Dakar, poi con un’inversione repentina a U atterriamo da sud sulla pista dell'Aeroporto Dakar-Blaise Diagne che si trova al centro della penisola a una cinquantina di chilometri dalla capitale; è abbastanza grande e ben messo. Al controllo passaporti prendono impronte digitali e foto in cambio del timbro; a qualcuno chiedono il nome dell'albergo dove si alloggerà e, come al solito, c'è ne inventiamo uno a caso. All'uscita della sala un tipo in divisa controlla che il passaporto sia stato… controllato.
I bagagli arrivano in tre trance e quelli da Roma per ultimi; sembra finita ma all'uscita ricontrollano. L'autista del pulmino che ci accompagnerà in albergo allontana un ladruncolo che si era intrufolato nel gruppo; bisognerà stare con gli occhi aperti.
In autostrada mediamente ogni 10 km c'è da pagare il pedaggio, peggiore della Roma-Tarquinia. Da lontano si vedono le luci alte rosse per i varchi chiusi, verdi per quelli aperti e gialle per il Telepass locale dove, però, occorre fermarsi per far aprire automaticamente la sbarra; la tariffa per le auto è 1000 CFA.
Passiamo davanti al nuovo Stadio Abdoulaye Wade dall'aspetto avveniristico, inaugurato da appena un anno; più avanti il palazzetto dello sport, la Dakar Arena che svetta su di una collinetta. La strada dell'albergo è di sabbia; il gatto dorme comodo in cuccia mentre il guardiano sul duro pavimento. Sveglia col canto del gallo e di tanti altri strani uccelli. I taxi sono gialli con parafanghi neri; non sono messi molto bene.
Vicino al vecchio stadio ci sono una decina di campetti di calcio uno dietro l’altro accanto alla trafficata strada, delimitati da pneumatici che fungono anche da tribune; sono tutti occupati da ragazzi con i fratini. Le porte hanno i pali ma non le reti; in alternativa due birilli stradali. I campi sono in... sabbia battuta.
Il servizio di trasporto pubblico è svolto da pulmini Tata stracolmi; l’ingresso è anche posteriore con bigliettaio esterno. Le auto sono tutte color… sabbia e quelle ferme da un po' di tempo si riconoscono perché le ruote sono per metà nella sabbia.
Per i trasporti di mercanzia ci sono tanti carretti trainati da cavalli. In alcune aree ci sono i cavalli in sosta; stanotte dormivano in piedi. I copertoni usati, piantati per metà nel terreno, fungono da divisori come tra i campi di calcio affiancati e, in questi casi, fungono anche da panchine per il pubblico. La stazione ferroviaria è vicina al porto.
Abbiamo a disposizione tre fuoristrada e a noi è capitato Moustafà, il più imbranato dei tre autisti; venti anni passati a Bergamo e non si capisce una parola di quello che dice e si è già perso due volte solo per raggiungere il porto dal nostro albergo.
Stamattina raggiungeremo la Île de Gorée; oggi è sabato e l’imbarcadero trabocca di aspiranti visitatori. Fatti i biglietti, siamo indirizzati in un enorme locale spartano, su due piani, con tantissime sedie, dove dovremo aspettare il traghetto, poiché abbiamo perso la corsa precedente. Pian piano il locale si riempie, sono tutti tranquillamente seduti poi ci siamo avviati all'uscita e si è scatenata la frenesia collettiva, tutti in piedi ad aspettare il ferry che non c'è. L'isola non è lontana dalla costa; era il posto di raccolta e imbarco degli schiavi per l'America.
Gli africani presero il posto degli indiani d'America come schiavi; i pellirossa si ammazzavano pur di non perdere la libertà. L'idea di usare gli africani come schiavi venne a un prete spagnolo perché questi, a suo dire, non avevano un'anima.
Il tutto è avvenuto con la complicità dei capi tribù africani stessi che recentemente hanno ammesso le loro colpe, ma le atrocità fatte dagli europei sono inenarrabili.
Oggi nell’isola c’è più gente del dovuto per le due manifestazioni a sfondo religioso che si stanno tenendo in contemporanea sull’isola. Una è denominata Ziarra Annuelle Imam Hamzatou Dia e per questo sbarcano sull'isola di continuo uomini e donne vestiti di tutto punto con sfoggio di oro incredibile. L’altra è cattolica e ha fatto arrivare sull’isola tantissimi giovani, tutti con la stessa maglietta e qualche tamburo.
Nella periferia di Dakar su di una collina c’è il Monumento alla Rinascita Africana costruito da una società della Corea del nord; rappresenta una famiglia che esce dalla collina e punta col dito alla Statua della Libertà che si trova dall’altra parte dell’oceano. La capitale senegalese è il punto più a est del continente africano quindi il punto più vicino all’America. E’ stato progettato da un artista senegalese e alla sua inaugurazione erano presenti decine di capi di stato africani; è considerata una delle più brutte opere al mondo. E’ grandissima e nella sua testa è stato ricavato un belvedere raggiungibile dall’interno; un po’ per il colore bronzeo, un po’ per la forma della vetrata, sembra il frontale delle littorine di una volta.
Lungo i marciapiedi terrosi sono stati creati numerosi vivai; ci sono alberelli ornamentali e piante fiorite. Se sono tanti, è segno che c’è mercato e se c’è mercato è segno che non c’è solo degrado come qui in periferia.
E’ l’ora di punta e i minibus che fungono da servizio pubblico straboccano di persone e molte sono appese fuori sul predellino posticcio di legno che tutti questi mezzi hanno aggiunto in qualche modo al modello originale assieme alla scaletta per accedere al tetto.
Nel traffico disordinato passa uno scooter giallo senza targa con il baule con la scritta Poste Italiane; all’inizio pensiamo subito a un mezzo rubato in Italia e finito non si sa come da queste parti, poi scopriamo che c’è un commercio di furgoni, auto e scooter teoricamente rottamati che invece arrivano qua dall’Italia e soprattutto dalla Francia per essere rimessi in circolazione e terminare dignitosamente qui il loro ciclo lavorativo.
Ripassiamo davanti allo stadio e nei vicini campetti ci sono ancora tanti ragazzi che giocano; molti appartengono a qualche scuola calcio perché ci sono anche gli allenatori di portieri.
Al casello autostradale un aiutante con pettorina ritira i soldi dagli automobilisti in fila; in questo caso sono 400 CFA e da’ in cambio, oltre all’eventuale resto, un gettone che l'autista consegna poi al casellante in cambio dello scontrino.
I motori di vecchia generazione sommati ai carburanti di scarsa qualità fanno un mix micidiale che rende l'aria della capitale irrespirabile; siamo sotto una cappa di smog che arriva fino all'isola visitata stamattina che, tra l'altro, non ospita mezzi a motore stradali.

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