Lac Rose

28 maggio 2023, domenica

Prima di colazione, Antonio prova il suo drone; la sala è su di una palafitta sul lago Rose. Il costoso giocattolino si alza, ci riprende da lontano e da vicino mentre lo salutiamo, fa il giro del lago trasmettendoci immagini bellissime col sole ancora basso; il tutto sapientemente manovrato dal tamburino sardo che a un certo punto decide di far rientrale il volatile meccanico che come programmato si ferma davanti a noi e, pochi attimi dopo, tra l’incredulità generale, s’inabissa senza una spiegazione logica.
Vani sono stati tutti i tentativi di ripescarlo; l’acqua decisamente salata si oppone energicamente ai nostri tentativi subacquei e dobbiamo arrenderci all’abbondante strato melmoso che l’ha inghiottito per l’eternità.
Per questa mattina abbiamo prenotato il giro del lago a… cavallo dei quad; nessuno di noi ha mai guidato uno di questi mezzi. Non è difficile perché ha il cambio automatico e i freni non servono perché appena si smette di accelerare l’attrito della sabbia e tale da fermare il mezzo immediatamente; l’unica difficoltà è la manovrabilità non dovuta al mezzo ma alla sabbia su cui viaggiamo, difficoltà che ho riscontrato anche guidando in riva al mare o nel deserto le auto a trazione integrale. E’ solo questione di pratica e quando tutto ci sembrava più facile… ci siamo ritrovati in hotel.
Il lago non è lontano dal mare e la prima tappa è proprio l’oceano; nel tratto di strada che abbiamo percorso, tante case sono state demolite e tanti picchetti delimitano lotti in concessione. Questo è dovuto al fatto che le autorità hanno deciso di fermare il fenomeno dell’abusivismo edilizio e al contempo dare in concessione aree demaniali per uno sviluppo più armonioso e rispettoso delle leggi dell’area.
Le ragioni che attiravano qui frotte di turisti erano fondamentalmente due; una è l’arrivo della famosa gara di rally estremo denominata Parigi-Dakar e l’altra dovuta all’incredibile colore rosa delle acque del lago. Oggi la gara non si svolge più essendo stata spostata in Patagonia per l’impossibilità dell’attraversamento della Mauritania flagellata da guerre intestine e il lago non è più rosa perché il livello delle acque si sta gradualmente alzando riducendo la percentuale del sale nelle acque che era il motivo per cui l’acqua assumeva la colorazione rosa.
Il risultato è che qui non arriva più nessuno, tranne noi, e delle lottizzazioni sono rimasti solo i picchetti e le poche case iniziate e non finite sono impietosamente messe in vendita come dimostrano i giganteschi numeri di telefono pitturati sulle pareti delle incompiute. Percorriamo in quad l’ultimo tratto della famosa corsa di rally fino al traguardo ricordato da una commovente targa.
Ci fermiamo in una cittadina non lontano dal lago per comprare qualcosa da mangiare nel mercato settimanale; bella la scena del bambino col pannolino che a stento si mantiene in piedi che da’ una mano alla mamma a scartare i pomodori ormai marci da quelli vendibili nella cesta.
Si trovano ovunque distese di mattoni messi tutti in fila ad asciugare al sole sul terreno sabbioso; servono per le costruzioni vicine. Infatti, i mattoni necessari non si trasportano, ma si fanno in loco; una camionata di pietrisco a grana fine e una di sabbia sono mescolate col cemento e con quest’impasto si riempie lo stampo. I foratini si mettono ordinatamente ad asciugare al sole e quando sono pronti, si tira su una parete e… si ricomincia daccapo.
Le gobbe sulla strada sono estenuanti, molte non sono nemmeno segnalate; se ne salti una, butti la macchina o il camion anche perché il parco veicoli circolante è vecchio assai.
A Kayar, come per il resto del Senegal se si eccettuano le grandi città, il servizio taxi è svolto da calessi trainati da cavallini o asini; sono i barocci per il trasporto delle merci ma non hanno le sponde e le persone si siedono sul pianale lato ruota e poggiano i piedi su una pedana che è stata aggiunta; sono tantissimi e oggi, forse perché è domenica, trasportano tante donne che indossano il vestito buono della festa.
Questa è una città costiera e, finché non raggiungiamo il mare, sembra una tranquilla città come le altre attraversate finora; la spiaggia, al contrario, è animatissima. Non essendoci un porto, le barche sono tutte parcheggiate sulla sabbia e quando ritornano dalla battuta di pesca, si fiondano sulla battigia senza rallentare, in modo da insabbiarsi; appena toccano terra i pescatori a bordo scendono e, aiutati da gente a terra, rigirano immediatamente la barca a forma di canoa prima di spingere tutti assieme il legno sulla spiaggia a marcia indietro. Il natante è una grande piroga con la chiglia molto arcuata tanto che la prua e la poppa sono molto alte rispetto al centro chiglia; questa forma particolare non è casuale e aiuta tantissimo per le operazioni viste fare in arrivo. Quando si spiaggia, più della metà della barca si ritrova all’asciutto e l’elica del motore essendo più alto della chiglia può spingere fino alla fine, senza il rischio di raschiare la sabbia; poi girare la barca di 180 gradi è possibile solo perché con la chiglia arcuata la parte che tocca la sabbia è minima e ruotarla diventa un gioco da ragazzi. Per spingerla il più lontano possibile dall’acqua, l’arenile è pieno di rulli di legno; in alternativa ci sono dei carrellini a due ruote che funzionano come quegli aggeggi usati in Formula Uno per alzare le auto quando fanno il pit stop. Anche qui la forma della chiglia aiuta perché ne serve solo uno e la barca può essere spostata sulle due ruote; in ogni caso l’operazione è faticosa perché il natante è tutto di legno, quindi occorrono tante persone che spingono all’unisono al ritmo degli… oh oh.
Il pescato è scaricato sulla sabbia e si formano dei cumuli per ogni tipo di pesce e, intorno a questi, parte l’asta cui partecipano generalmente le donne; la moglie dell’armatore della barca tiene banco le altre offrono. Una volta aggiudicato, il cumulo rimane lì in attesa di essere portato via ed è pericoloso per i non addetti ai lavori come noi che distratti da tutto il caos che ci circonda rischiamo di finirci dentro.
Siamo attirati da una voce fanciullesca che da quando siamo arrivati ripete delle frasi che uno potrebbe scambiare per un karma se non avesse il tono autoritario che ha. In uno spiazzo coperto da un tendone, ci sono una trentina di ragazzi allineati e coperti che eseguono gli ordini impartiti da un altro ragazzino come se fossero dei militari; sono tutti vestiti uguali di bianco e soprattutto verde e, seduti col vestito della domenica, i genitori assistono come fosse uno dei nostri saggi di danza.
Come in tutti i porti che si rispettino c’è il distributore di carburante ma qui, in assenza di un… porto, questo non può essere posto sulla banchina quindi lo troviamo alla fine della spiaggia; vende l’indispensabile liquido in taniche cubiche da una trentina di litri.
Riprendiamo la marcia; sono le ore pomeridiane più calde della giornata e vediamo che le persone usano passare questi momenti stesi su un telo all’ombra di un albero vicino a casa. Sono soprattutto donne e bambini.
I fabbri e i falegnami sono gli artigiani più visibili perché, a causa dei piccoli fondi che occupano, lavorano all’aperto sui grandi marciapiedi sabbiosi dove espongono anche i loro prodotti finiti come porte, letti con spalliere kitsch e comodini, cancelli e altro.
Si comincia a vedere qualche albero di baobab ma il grosso è quasi monopolizzato dalle piantagioni di mango; un altro paio di settimane e sono tutti maturi al punto giusto.
Stasera dormiremo in un campo tendato; non so se è solo per folclore o perché la pista è off limits anche per i nostri fuoristrada, fatto sta che abbandoniamo i nostri mezzi e saliamo sul cassone di un camion d’altri tempi. Impossibile risalire al modello per gli innumerevoli revamping cui è stato sottoposto; ora c’è solo l’indispensabile per viaggiare. Il cambio è manuale con una seconda leva per le ridotte e un’altra per l’innesto del 6x6; da brividi anche per le macchie rosse sul parabrezza che speriamo siano di vernice.
Le tende sono vere, con un ingresso principale che si affaccia su un ampio piazzale quadrato e un altro che permette di accedere ai servizi privati con tazza e doccia separati e delimitati da siepi secche e... cielo stellato.
Seduti ai tavolini del bar, ci gustiamo un buon carcadè fresco di benvenuto e la presenza dei bicchieri ci suggerisce di aprire una bottiglia di rosso della nostra riserva, accompagnata da una busta di patatine come stuzzichino. Il ragazzo del bar vuole 5000 CFO perché abbiamo bevuto una bottiglia di vino non sua.
Il tramonto sulle dune è bello ma… sul più bello, il sole è sparito dietro la coltre di foschia. A cena, dietro un basso tavolino su scomodi sgabelli, gustiamo una zuppa di legumi al rosso di ketchup e spezie varie e a seguire un tris con cous cous cotto in un tajine marocchino, ottima carne di pollo e montone arrosto e una zuppa di ortaggi. Per finire ci sono una fetta di torta e un minuscolo bicchierino di tè alla menta.
Un gruppetto di percussionisti ha allietato la serata dietro un fuoco alimentato spesso e pericolosamente con liquido infiammabile spingendo gli ospiti a balli etnici.
È difficile dormire perché si è alzato un discreto vento che in pratica ci entra in tenda perché non abbiamo le porte ma due pezzi di stoffa volante che svolazzano all’impazzata; una l'abbiamo fermata alla meglio ma l'altra è libera di... disturbarci.

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