Toubacouta

2 giugno 2023, venerdì

Allo stesso molo dove ci siamo imbarcati ieri pomeriggio, stamattina saliamo su un barcone più grande con cui navigheremo nel delta del fiume fino al mare dove ci raggiungeranno i fuoristrada con i bagagli.
Siamo nel delta del fiume Saloum che è un parco nazionale dal 1976 e si estende per oltre 70.000 ettari; di questi, 811 sono stati designati Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 2011. Partiamo in direzione opposta al villaggio di Sipo con il Re visitato ieri e passiamo al largo dell'isola delle conchiglie, dove ieri siamo scesi per percorrere qualche centinaio di metri sul sentiero… conchiglioso tra i giganteschi baobab e i luoghi di sepoltura e, circumnavigato il promontorio tenendolo sulla sinistra, ci immettiamo in un larghissimo braccio del fiume Diombos; l’altra riva è lontanissima, sembra di essere in alto mare.
Dalla boscaglia emergono maestosi i baobab; più ne vedi più si fanno apprezzare. Come nel Madagascar anche qui in Senegal è l’albero simbolo; in questo periodo è spoglio, scheletrico, e forse è proprio per questo che attira l’attenzione perché è subito evidente la diversità della struttura legnosa rispetto agli altri alberi.
Gli unici che ci fanno compagnia in questo viaggio sono i cormorani che sono sui rami delle mangrovie o su qualche tronco arenato in acqua che si asciugano al sole in attesa di un altro tuffo e qualche gabbiano che, volando a pelo d’acqua, viene a controllare se siamo pescatori, in altre parole dispensatori di cibo, o inutili vacanzieri.
Sbarchiamo al piccolo molo del villaggio di Diogane; alcune donne fanno la spola tra il villaggio e un’imbarcazione già attraccata caricando e trasportando poi la merce presente nella stiva. I ritmi non sono frenetici e noi siamo quasi ignorati sia dagli adulti sia dai pochi ragazzini presenti e questo stupisce perché, soprattutto i più piccoli, o perché incuriositi o perché vogliono soldi e caramelle, si avvicinano sempre con vivacità.
Un cartello appeso a un albero alla fine del piccolo molo indica l’ammontare delle tasse oggetto per oggetto importato nel villaggio; più avanti un accenno di costruzione da’ riparo dal sole ad alcuni vecchietti. È il luogo dove gli anziani si riuniscono e prendono le decisioni per l’amministrazione del posto.
Anche qui si cammina su uno strato di vecchi gusci sbiancati dal tempo e dal sole; in uno spiazzo siamo letteralmente presi in consegna da un nugolo di bambini sorridenti che ci prendono per mano e ci conducono alla loro scuola. Entriamo in un’aula dove una settantina di ragazzini di circa dieci anni, maschi e femmine sono seduti stretti uno accanto all’altro su lunghe panche; non c’è lo spazio per i banchi per cui di sicuro l’insegnamento avrà qualche lacuna.
S’insegna sia il francese sia l’arabo poi in futuro ogni ragazzo potrà scegliere quale lingua usare per proseguire gli studi o nella vita professionale; nel periodo coloniale si studiava poco e solo in francese. Il maestro, che eccezionalmente ha la mano sinistra con sei dita, fa intonare ai ragazzi una canzoncina in nostro onore quando ci accomiatiamo.
L’economia del villaggio è interamente rivolta a pesci e molluschi; i primi sono pescati dagli uomini a bordo della loro piccola flotta di colorate imbarcazioni mentre, soprattutto le ostriche d’acqua dolce che crescono sui rami immersi delle mangrovie, sono raccolte dalle donne. Pesci e molluschi anche qui sono essiccati o affumicati; sono esportati soprattutto in Mali. Infatti, i cartoni provenienti dal Mali pieni di banane tornano indietro col pesce affumicato.
A Diogane dipendono dal Sole e dalla pioggia; dal primo ricevono l’energia elettrica e dalla seconda l’acqua potabile. Riprendiamo la navigazione e passiamo accanto a una secca, dove molte donne inginocchiate raccolgono molluschi che depositano nel catino che hanno accanto.
Con la tipica tecnica dello spiaggiamento ci fermiamo per il pranzo; un bel pezzo di pesce grigliato al momento poi riso, banana e mango. Siamo attratti dal gran baccano che fanno dei bellissimi uccelli gialli; sono i Tessitori testa nera che sono intenti a restaurare vecchi nidi o a farne di nuovi. Utilizzano foglie filiformi ancora verdi per cui i nuovi nidi si distinguono immediatamente dai vecchi ingialliti; l’ingresso al nido è dal basso per difendere la nidiata dai predatori sia volanti sia striscianti. Anche questi animaletti, con un’intera foresta a disposizione, hanno deciso di costruire casa tutti sullo stesso albero.
L'albero di anacardio ha i frutti maturi di un colore rosso vivo; somigliano nella forma e nella consistenza alle mele e hanno l'anacardio che conosciamo noi all'interno di una scorza dura che sporge quasi per intero dal frutto dalla parte bassa, quella opposta al picciolo che lo tiene all'albero.
Riprendiamo la navigazione; siamo subito in mare aperto. Passiamo davanti a un pezzo di costa, dove la foresta di mangrovie è bruciata; non so se è stato voluto o frutto di un incidente ma è una brutta ferita in questo ecosistema.
Alla foce del fiume Soloum s’è creato nel tempo una lunghissima striscia di sabbia, una stretta penisola che protegge la foce dalle onde oceaniche e per questo scelto dai pescatori come porto sicuro. Sulla punta di questa striscia di sabbia c’è il villaggio dei pescatori di Djifer e la spiaggia, lato foce, è un immenso insieme di barche parcheggiate o che stanno arrivando e tra loro una folla di persone che a prima vista sembra caotica ma a ben vedere ognuno ha il suo compito.
Finora c’eravamo intrufolati in questi vivaci mercati entrando via terra ora invece con la nostra barca ci spiaggiamo come loro, in mezzo a loro e siamo subito nel caos che più caos non si può; un momento epico, un momento che da solo vale il costo del biglietto.
Non ci si può distrarre; siamo a riva e le barche arrivano una dietro l’altra e non vanno molto per il sottile. Siamo noi che dobbiamo essere pronti a spostarci e non loro a evitarci.
A questo proposito inizialmente non capivo l’atteggiamento dei portatori, riconoscibili per il cesto e per il copricapo imbottito, che sostano in acqua proprio dove poi arrivano le barche e quasi si fanno investire. L’arcano è presto spiegato; il primo portatore che riesce a gettare la propria cesta nella barca si arroga il diritto a trasportare il pescato in cambio di un pesce.
Il pescato viene quasi tutto essiccato o affumicato perché così vale molto di più del pesce fresco, in rapporto di quattro a uno. I molluschi sono lavorati su colline di gusci, dove è estratto il corpo carnoso; il secondo step è di separare l’opercolo che ha un mercato proprio. Il corpo carnoso è essiccato e grazie al sapore forte è venduto come l’equivalente del dado per insaporire le pietanze, soprattutto il riso. Gli opercoli invece sono esportati in oriente dove essiccati e ridotti in polvere costituiscono la base per la realizzazione dei bastoncini colorati e profumati che si accendono nei templi e ora anche nelle nostre case.
Questo pomeriggio le reti hanno tirato su tanto pesce azzurro, poi razze, seppie giganti e poiché siamo alla foce di un fiume, pesci gatto.

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