Grosseto

9 maggio 2004, domenica

Raggiungiamo Fiumicino con l’interregionale 2337 delle 7.32 e treno metropolitano da Roma Trastevere fino all’aeroporto. Appuntamento al check-in con il resto della banda; siamo in dieci. Il nostro volo è il CX 292 per Hong Kong, uscita C22.
Le misure di sicurezza sono severe; i check-in dei voli a rischio sono stati raggruppati nella zona laterale dell’ampio atrio, transennata e super vigilata da nervosi agenti armati fino ai denti. Al metal detector attenti poliziotti privati hanno preso il posto degli agenti della polizia di stato. Giosuè è la prima vittima, il suo coltellino rimarrà a Roma.
Degustiamo un po’ di tartine al tartufo, carciofi e formaggi vari ma è tardi e dobbiamo lasciare a malincuore gli altri assaggi.
L’aereo è un Boeing 747-400 della Cathay Pacific. Notiamo subito la novità, per me, del piccolo monitor posizionato sullo schienale delle poltrone, quindi davanti a ogni passeggero; dopo il messaggio di benvenuto sullo schermo appaiono varie informazioni tra cui la distanza da Hong Kong che è di 9293km e il tempo che impiegheremo a raggiungerla: 11 ore e quattro minuti. Arriveremo alle 6.02 ora locale.
Ci siamo mossi in orario alle 12.45 ma sono le 13.00, ora prevista della partenza, e stiamo girando ancora tra le piste e i raccordi di Fiumicino. 13.00, 19.00 e 11.00 sono rispettivamente l’ora italiana, quella di Hong Kong e quella di Greenwich. I dati sul monitor sono sicuramente ricavati da un navigatore satellitare; passeggiando tra i raccordi dell’aeroporto ci siamo avvicinati a Hong Kong di ben… 2km, passando dai 9293km iniziali ai 9291km attuali.
Siamo partiti diretti verso il mare e una virata di 180° verso sud ci ha riportati a riva; a fine virata siamo già a 870km/h con temperatura esterna di 18°. Pochi chilometri all’interno e viriamo di nuovo verso sud; siamo nella nostra aerovia, parallela al litorale. La giornata è buona e il cielo è limpido; siamo sopra Gaeta e in men che non si dica il Golfo di Napoli è sotto di noi con il Vesuvio, Ischia e Capri… in un solo oblò. Viriamo verso est e dopo pochi minuti sorvoliamo Taranto con i suoi caratteristici Mare Grande e Mare Piccolo.
Il personale di bordo è abbondante, ambosessi e globalizzato. Uno steward ha i caratteri somatici occidentali, un altro è tipicamente cinese come una minuta e simpatica hostess; le altre assistenti di volo si avvicinano al ceppo tailandese. Queste ultime vestono una camicetta bianca con baffi simili a uccelli in volo stilizzati di diverse grandezze e colori con gonna rosso porpora come la farfallina ferma capelli per chi ce li ha lunghi. Una scamiciata verde copre il tutto quando… sono al lavoro. Gli steward portano camicia bianca, gilet rosso porpora quasi viola con pantalone nero e cravatta nera con disegni simili nelle forme e nei colori a quelle stampate sulle camicette delle colleghe.
Intanto il cielo… sotto di noi si è annuvolato e viaggiamo alla cieca visto che i monitor, dopo un po’ di pubblicità che non guasta mai, hanno smesso di funzionare. I nostri posti sono sparsi un po’ qua e un po’ là nell’aereo ma noi che alloggiamo alla fila 51 siamo quelli messi peggio perché vicini alla cucina; siamo i primi a sentire gli odori e… gli ultimi a essere serviti.
Tortelli in salsa bianca e origano con un po’ di pomodori in un angolo del piatto; non indagato per quanto riguarda il ripieno. Buon sapore ma leggermente scotti. Sul menù c’era da scegliere tra pollo e beef ma è arrivata una fetta di prosciutto crudo e un polpettone di patate lesse, insalata e peperoni. Nella vaschetta del dolce una pasta frolla con crema e gelatina, una fettina di ananas, una di kiwi e mezza ciliegia.
Alla velocità di 985km/h e a 10058mt d’altezza passiamo sopra Istanbul. E’ grandissima e si sviluppa lungo lo Stretto del Bosforo che collega il Mar di Marmara al Mar Nero e che divide l’Europa dall’Asia; si notano distintamente i molteplici moli, le autostrade, due aeroporti, ippodromi, piscine e tanti altri impianti sportivi della parte nuova della città. Case tante, verde poco.
Appena finito di mangiare uno steward ci fa chiudere le tendine; è ora di dormire. Stiamo sorvolando il nord della Turchia. Il paesaggio è brullo e le cime sono innevate; il color terra dei corsi d’acqua dimostra che le precipitazioni primaverili sono state abbondanti anche qui. Tagliamo in due il Mar Caspio e sul Lago Aral è già buio; sono le 17.30 italiane.
Scopriamo che sul monitor si possono selezionare una quarantina di canali per cui oltre alle informazioni sul volo si possono scegliere alcuni film, ascoltare generi diversi di musica, filmati televisivi come vecchie candid camera e vecchi campionati mondiali di rugby, giochi ecc. Ma il tempo non passa mai; hanno abbuiato tutto ma nessuno dorme tranne qualche cinese. Si passeggia tra i corridoi, si beve qualcosa e si mangia qualche panino con pomodori e melanzane. Lo mangiamo più per noia che per fame. Poi una hostess passa con un vassoio pieno di bicchieri di polistirolo tipo pop corn con tanto di coperchio e bastoncini di legno. Ne prendo uno e scopro che al posto dei pop corn ci sono spaghettini in brodo caldissimo di pollo con uova e carote; sono più buoni dei tortelli mangiati prima.
Abbiamo sorvolato molte delle nuove nazioni nate dallo scioglimento dell’ex Unione Sovietica tra cui Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan. Sono le 21.00 italiane e siamo in Cina da un bel po’; dopo aver lambito i confini della Mongolia stiamo puntando verso sud, verso Hong Kong. Mancano ancora tre ore di volo.
La colazione è stata buona e abbondante tranne la frittata di patate che non ispira fiducia. L’aria all’interno dell’abitacolo deve essere eccessivamente secca perché dopo tutte queste ore di volo abbiamo tutti problemi al naso. L’aereo è pieno all’80%; tanti i cinesi tra i passeggeri. Ci sono due ragazze tra questi che hanno tenuto la mascherina anti Sars per tutto il tempo e una l’ho vista sempre con un paio di vistosi guanti bianchi. Durante le nostre peregrinazioni tra un corridoio e l’altro non ci hanno fatto entrare mai in prima classe, qui le hostess vestono un elegante tajer rosso porpora.
Siamo a 11340mt d’altezza a una velocità superiore ai 1000km/h, albeggia, mancano quaranta minuti all’arrivo, iniziamo a scendere. Sullo schermo ora appaiono i dati relativi alle coincidenze; la nostra è il volo CX/VN 767 per Ho Chi Min alle ore 8.55, Gate 69.
L’aeroporto di Hong Kong è sul mare per cui arrivando dall’entroterra l’aereo punta verso il mare aperto per poi virare e atterrare perfettamente sulla pista. Si vedono numerosi grattacieli, tutti quasi identici, ma la città è lontana e non si vede. La stazione aeroportuale è in stile moderno, ampie vetrate laterali con vista sulle piste, grossi piloni cromati reggono la copertura in materiale leggero di colore bianco, tapis roulant e scale mobili si sprecano, aria condizionata e moquette non possono mancare.
Al termine di un lungo corridoio il personale sanitario fa togliere il cappello ai viaggiatori che ce l’hanno per permettere a una telecamera termografica di riprenderci; la persona che controlla il monitor stabilisce che io e Giosuè abbiamo bisogno di un ulteriore controllo. Il termometro elettronico ha detto ok, possiamo proseguire.
Al controllo bagagli a mano mi trovano il tagliaunghie, è pericoloso, buttato nel secchio della spazzatura. Capisco la tensione del momento e non piango certo la perdita di un oggetto di poco valore ma la discrezionalità di questi controlli è ridicola; un piccolo tagliaunghie è stato giudicato innocuo a Roma ma pericoloso a Hong Kong?!
Seguendo il percorso transit finiamo in una enorme sala al cui centro campeggiano tre gruppi di tre alte palme che si ergono da altrettante aiuole piene di piante e fiori. Ci sono numerose postazioni di computer collegati in rete dove molti viaggiatori si fermano a controllare la propria posta; noi… non ci riusciamo.
Un lunghissimo corridoio con tapis roulant al centro e le varie uscite lungo i lati ci porta al nostro gate, il 69, l’ultimo! E’ talmente lungo che è previsto un efficiente servizio di trasporto anziani su carrozzine; sono talmente tanti i vecchietti che vengono scarrozzati da una parte all’altra di questo corridoio che a un certo punto sembrava di stare in un aeroporto… della terza età!
L’aereo è un Airbus A330-300 mezzo vuoto; anche qui ci sono i monitor personali ma a un certo punto hanno smesso di funzionare. Il tempo di riempire un po’ di moduli e arriva il pasto; gli spaghetti hanno un buon sapore ma sono eccessivamente scotti. Nello stesso vassoio degli spaghetti ci sono una polpettina vegetale racchiusa in una foglia di insalata e due panelli di… polistirolo cotto a vapore con all’interno carne in uno e… forse gamberetti nell’altro.
La velocità non è elevata, 861km/h, ma a questa altezza penso di non esserci mai arrivato: 40000 piedi equivalenti a 12192mt. Anche su quest’aereo il personale è figlio della globalizzazione; i tratti somatici sono orientali ma ognuno è diverso dall’altro.
L’aeroporto di Ho Chi Minh si differenzia subito da quello di Hong Kong per la vetustà e sobrietà della struttura. In un angolo, nascosti malamente da un muro di cinta, ci sono numerose carcasse di aerei militari in disuso.
Il personale femminile borghese dell’aerostazione indossa con classe l’ao dai, una veste azzurra con ampi spacchi laterali che fanno risaltare il bianco dei pantaloni.Lo sbalzo di temperatura tra dentro e fuori l’aero è micidiale; ci sono 32° ma il tasso di umidità è altissimo. La sensazione di calore subisce una impennata quando entriamo in un salone immenso pieno di viaggiatori che attendono chissà da quanto tempo per le formalità di rito. Gli sportelli sono più di venti e le operazioni sono svolte molto lentamente da militari in divisa; un’ora e venti minuti di attesa per un timbro sul passaporto in un salone con centinaia di persone senza aria condizionata. La cosa positiva è che quando andiamo a prendere i bagagli questi sono già sul rullo… che ci aspettano.
In cambio di 400 dollari abbiamo ricevuto 6.139.112 dong ovvero 15.661 dong per un dollaro. Con 20 dong a persona due taxi ci portano all’hotel Mai Phai; due camere doppie e due triple per 5 dollari a testa a notte.
La nostra camera ancora non è pronta; immediatamente tre ragazze a piedi nudi rifanno i letti, spazzano e lavano per terra e igienizzano il bagno. La dotazione della stanza è spartana; in compenso ci sono le ciabatte di plastica col numero di camera segnato col pennarello. Peccato che possano usufruirne solo i piccoli piedi vietnamiti.
Alle tre iniziamo un giro a piedi per la città. Ci sono tantissime moto che riempiono la carreggiata della strada; le bici sono poche mentre le auto sono quasi esclusivamente usate come taxi. Il primo problema che ci si pone è quello di trovare il ritmo giusto per attraversare la strada; siamo abituati a prendere il tempo a un solo veicolo per volta mentre qui le moto sono tante in entrambi i sensi di marcia e non vanno piano. Il trucco consiste nell’attraversare la strada a velocità costante senza correre o deviare o fermarsi. Saranno gli autisti a scansarti; facile a dirsi, un po’ meno a farsi.
Vedere intere famiglie di quattro persone con borse della spesa o zainetti dei ragazzi sfrecciare strombazzando sulle moto non è cosa rara. Per quanto riguarda i veicoli a pedali poche bici ma molti risciò; ci sono sia quelli per trasporto passeggeri che quelli per trasporto merci. A differenza di quelli indiani, qui l’autista è dietro le persone o le merci trasportate e pedala seduto su un altissimo sellino che gli permette di vedere al di sopra della capotte che protegge i passeggeri o le merci caricate all’inverosimile. Infatti le merci trasportate su questi mezzi sono delle più svariate tipologie e spesso caricati oltre ogni limite, sporgendo in altezza e larghezza in modo spropositato.
La partenza dai semafori delle moto, che dopo le 17.00 sono diventati molti di più di quelli che prima mi erano sembrati tantissimi, è spettacolare, sembra la partenza dei gran premi di motociclismo.
Sui marciapiedi ci sono tante bancarelle con i più svariati articoli, dai tanti che vendono sigarette e affini a quelli che vendono libri, calzini, tè ecc. Tra gli artigiani ci sono molti meccanici per moto che pur avendo il fondo lavorano prevalentemente sul marciapiede costringendoti a vere e proprie gimcane per evitarli. I gommisti in genere non hanno l’officina ma stazionano sul ciglio della strada; ci sono quelli più moderni che mettono in mostra qualche camera d’aria o copertone da moto più compressore con motore a scoppio e quelli che aspettano tranquilli accanto alla vecchia pompa a mano o a pedale che qualche ciclista si fermi a gonfiare le ruote.
Molti barbieri operano sui clienti illuminandoli con forti luci; spesso queste luci sono posizionate sulla fronte del barbiere stesso come se fossero dei minatori. Come se non bastasse i clienti non sono seduti sulla poltrona come in tutto il resto del mondo ma distesi come se stessero su di una barella. La cosa ci incuriosisce, indaghiamo e scopriamo che qui i barbieri oltre a fare barba e capelli ai clienti hanno anche la funzione di stura orecchie. Usano un set di ferrettini da… brividi.Girovagando per i vicoli interni troviamo in un angolo un baldacchino color rosso e sotto una bara con tanto di foto 18x24 dello sfortunato protagonista. Vicino ci sono un paio di tavolini con intorno gente che mangia; sembrerebbe una veglia funebre all’aperto ma i vicini e i passanti mostrano indifferenza mentre quelli che mangiano a due metri dalla bara si divertono un mondo a farsi fotografare da noi???
Il mercato di Ben Thanh è immenso; è coperto e diviso a settori. Tanti piccoli box sono affiancati gli uni agli altri e poiché in ogni settore si vende la stessa merce si ha la sensazione di trovarsi in un immenso negozio di tessuti o di scarpe e così via. Per quanto riguarda i generi alimentari è tardi e molti esercenti hanno chiuso; dai pochi aperti si vede che qui sono molto richiesti i vari mitili e pesci di fiume tenuti vivi nei tini, spesso con ossigenatori. La carne ha un colore pessimo; molti piedi di porco in vendita.
Come in Messico è famoso il Metzecal con il verme sul fondo della bottiglia qui sembra che vada forte una specie di liquore con il serpente; il cobra fa sempre una bella figura ma ho la sensazione che sia finto.
Nelle stradine che circondano l’immenso complesso, sembra che copra una superficie di 11 chilometri quadrati, ci sono un’infinità di banchi con splendidi e profumati fiori magnificamente ordinati.
Mangiamo al ristorante Bò Tung Xeo; una cena a base di carne. Una fornacella al centro della tavola con in un piatto carne tagliata a piccoli pezzi e insaporita con salsa di soia, aglio e qualcos’altro di indefinito; ognuno si cuoce il proprio pezzo, cercando di non bruciare i bastoncini con cui ci si aiuta, e lo mangia. Completata la cena con altra carne insaporita con altre spezie, patate fritte, birre e altre bevande per 64000 dong a testa.
Appena entrati nel locale si è scatenato un violento acquazzone che ha costretto il personale del ristorante a chiudere il… tetto e tappare con teli di plastica le aperture laterali; alla fine tutto il fumo prodotto dalle varie fornacelle in opera sui vari tavoli non avendo via di fuga ha cominciato a ristagnare all’interno con evidente disaggio da parte nostra.
Continua a piovere per cui torniamo in albergo in taxi, 6000 dong a testa.

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