Kibish
Domenica, 12 febbraio 2012
La situazione precipita; sembra che nella notte siano stati trovati altri Surma morti e che per ritorsione siano stati incendiati dei villaggi Dizi. Purtroppo le comunicazioni non sono efficienti; nonostante l’enorme traliccio con su le antenne che troneggia davanti all’edificio della polizia, i telefonini prendono il segnale solo in un punto del villaggio e saltuariamente. L’unico modo per comunicare con l’organizzazione del trek a Tum, Chu Chu, è via radio; abbiamo con lui un appuntamento alle 9.00 alla radio della polizia.
Noi abbiamo smontato il campo e preparato i bagagli e saremmo pronti a partire ma i portatori non si muovono senza un’adeguata scorta; sono talmente impauriti che hanno deviato nel campo un camioncino Isuzu nel tentativo di abbandonare il villaggio. Ci accordiamo anche sul prezzo, 2000 birr, ma dobbiamo aspettare di parlare con Tum per sapere li come è la situazione ma l’autista del camioncino non ha voglia di aspettare e va via sbraitando.
Da Tum ci consigliano di lasciare con qualsiasi mezzo Kibish e raggiungere il villaggio vicino, Tulgit. Intanto a sdrammatizzare l’atmosfera ci pensa una donna Surma che da stamani cerca di venderci qualche oggettino; col fatto che ogni volta che raggiungiamo un accordo lei rilancia, ci siamo stufati e l’abbiamo ignorata. Allora lei, con una mimica da artista navigata, ci ha illustrato tutto il lungo processo di lavorazione che ha dovuto compiere per ottenere il piatto labiale che vorrebbe venderci dall’impasto dell’argilla, alla modellazione per finire alla lenta cottura al sole. Davvero divertente ma la nostra unica preoccupazione ora è… scappare da Kibish!
Carichiamo tutto sul cassone di un camioncino Isuzu che per 2000 birr ci porterà, speriamo sani e salvi, a Tulgit. Sullo sterrato accidentato, aggrappati alla sponda del cassone tra sobbalzi e schivate di rami di alberi bassi, risaliamo verso il passo guardando dall’alto la valle, che avremmo dovuto percorrere a piedi scoprendone le bellezze a piccole dosi come è tipico dei trek, e il fumo denso che si alza dal villaggio Dizi, a mezza costa, dato alle fiamme dai Surma.
A fondo valle, al di la del passo, c’è Tulgit; la polizia presidia l’ingresso del paese e i cento metri di strada su cui si affacciano le poche case del villaggio; col camioncino entriamo direttamente nel cortile della polizia. Il villaggio è Surma e anche poliziotti e miliziani sono di tale etnia. Con la scusa della sicurezza siamo confinati all’interno del cortile senza poter uscire.
Montiamo le tende e ci diamo una rinfrescata alla doccia esterna dei poliziotti, rifugio preferito dei cani e dei polli del circondario per la presenza contemporanea di acqua e ombra; mangiamo qualcosa, ci sdraiamo all’ombra di un albero, una chiacchieratina ma… il tempo non passa mai. Chiediamo di fare un giro tra i pochi tucul del villaggio; il capo dei poliziotti che ora veste un’impeccabile divisa mentre al nostro arrivo indossava un pigiama a scacchi bianco e nero, col chiaro intento di spillarci dei soldi, pretende che noi si sia scortati da una guida e da due guardie armate da pagare, logicamente, profumatamente. Rifiutiamo; pensandoci bene la nostra situazione non è migliorata di molto dopo la precipitosa fuga da Kibish. Ora ci troviamo praticamente prigionieri in questo villaggio Surma e l’incolumità della nostra guida e dei portatori, unici Dizi in questo villaggio, è nelle mani di poliziotti Surma.
A metà pomeriggio è arrivato un pick-up con a bordo militari in assetto di guerra; nel cassone sette militari in mimetica armati di mitra di cui uno ci ha tenuto sotto tiro con la mitragliatrice piazzata sul tettuccio del mezzo da quando è entrato nel cortile fino a che non ha capito che siamo inoffensivi. E’ gente abituata alla guerra; mentre i militari all’interno della cabina scambiavano informazioni con i poliziotti quelli sul cassone non si sono distratti un attimo con i mitra puntati verso i quattro lati con occhi spiritati anche se si trovano in un cortile militare, quindi teoricamente sicuro.
Le notizie arrivano in modo frazionato; anche qui è difficile telefonare. Gli autisti dei nostri due fuoristrada che abbiamo lasciato a Tum e che ora potrebbero tornarci utili come possibile via di fuga sono bloccati perché non trovano una scorta armata.
Dall’ultima ricostruzione dei fatti sembra che i Surma, che negli ultimi anni sono oggetto di pressioni governative per farli spostare in territori limitrofi, abbiano ammazzato due persone di etnia Dizi di cui uno con una carica elettiva, tipo sindaco, e che per ritorsione siano stati ammazzati 18 Surma al mercato di Maji. La cosa ci colpisce molto perché martedì scorso eravamo nello stesso mercato gomito a gomito ai Surma che cercavamo di immortalare con le nostre macchine fotografiche.
Sono ore che siamo reclusi in questo recinto; pur di fare qualcosa andiamo verso un malandato tucul da cui proviene da ore un ticchettio continuo. C’è un vecchietto che seduto sui talloni sta martellando con una pietra su un chiodo nel tentativo di trasformarlo in coltellino; è molto dolce. Fa segno che ha fame e si commuove quando gli portiamo mandorle e crackers. Le mandorle non le conosce e per mangiarle è costretto a schiacciarle con la pietra perché ha solo due denti mentre dei crackers ne mangia uno e gli altri li conserva contentissimo.
All’interno del cortile dove siamo rintanati stanno costruendo un edificio in muratura; sono alle fondamenta. I ragazzi che vi lavorano per oggi hanno finito e si ritirano nei loro alloggi; il loro Isuzu è parcheggiato a pochi metri dalle nostre tende. La nostra squadra logistica, ormai consumata dalla paura, lancia l’idea: raggiungere Tum e quindi la salvezza con quel mezzo. Partono le trattative, raggiungiamo un accordo, tentennano, rifiutano ma… è un rifiuto che compriamo con altri 200 birr; alla fine ci porteranno a Tum per 1600 birr.
Abbiamo poco più di un’ora di luce prima del tramonto per cui occorre fare in fretta; con l’aiuto interessato dei mulattieri smontiamo il campo e carichiamo tutto e noi stessi sul cassone del camioncino in pochi minuti e partiamo. Preso di sorpresa il capo poliziotto sale sul cassone assieme a noi col mezzo in movimento e ingaggia una furente discussione verbale con tutti i Dizi a bordo; la nostra guida gli allunga un centone che lui prende senza smettere di sbraitare. Alla fine del villaggio scende assieme all’altro poliziotto armato di kalashnikov che era salito con lui e continua a inveire indicando col dito tutti i presenti sul cassone… ma noi ormai siamo già fuori del villaggio.
Attimo di panico, ben camuffato da tutti, quando dopo poco la partenza incrociamo un Surma armato di kalashnikov; il nostro driver guida come un pilota di F1 su questa pseudo strada sterrata in pessime condizioni senza tenere minimamente conto che dietro ci sono persone e non cose ben legate. Dopo un po’ incrociamo i nostri fuoristrada; reperite due guardie armate gli autisti sono venuti a recuperarci anche se nel frattempo non eravamo riusciti a stabilire un contatto telefonico con loro. Proseguiamo col camion con i fuoristrada che ci seguono; la cosa positiva è che ora abbiamo la scorta armata.
Nella stagione delle piogge non deve essere facile viaggiare su questa pista; l’acqua di torrenti in piena ha spazzato via la strada in due punti. L’erba secca in questa zona è stata data alle fiamme da tempo e la nuova erba verde si sta già facendo strada tra la cenere; speriamo che anche gli alberi si riprendano, sarebbe un peccato.
A Coca investitori malesi hanno impiantato un palmeto di 31.000 ettari destinato alla produzione di olio e altri 10.000 ettari di alberi di caucciù per la produzione di gomma; qui salgono due dei nostri mulattieri che in qualche modo erano riusciti ad arrivare fin qui prima di noi. I soldati che presidiano questa struttura ci chiedono informazioni sulla località da cui proveniamo segno evidente che in questa remota regione le comunicazioni sono affidate al passaparola più che alla tecnologia.
Sugli alberi svolazzano tantissimi uccelli color blue elettrico e altri dal corpo affusolato che finisce con una coda lunga e sottile. Cercando di sdrammatizzare, il viaggio nel cassone era stato colorito da una vena allegra; ora siamo a ragione più rilassati visto che il numero di Surma incontrati per strada è andato via via scemando fino a scomparire del tutto dopo Coca.
A Tum è ormai buio; montiamo il campo al solito posto, lungo la pista dimessa del vecchio aeroporto, mangiamo e poi giù nel villaggio a berci una bella birra calda mescolati ai tanti poliziotti, soldati e miliziani armati.