Addis Abeba

Giovedì, 16 febbraio 2012

La città a uno sguardo superficiale potrebbe apparire come una città sporca; la polvere, la sabbia tra strada e marciapiede, marciapiedi disastrati, grosse buche al posto dei tombini e altro farebbero pendere l’ago della bilancia su questa ipotesi. Invece a uno sguardo più attento, almeno nella zona centrale visitata, l’assenza di cartacce per strada, di escrementi di animali, la pulizia davanti all’uscio delle case anche se nel disordine delle cose stipate ne fanno una città pulita. Considerando l’assenza di cestini e simili molto del merito va agli spazzini che lavorano a tutte le ore del giorno; con ramazza, pala e carriola pattugliano le strade in coppia. Sono quasi esclusivamente donne e portano un cappello di paglia a falda larghissima che le caratterizza.
Al centro di una rotonda, sulla Churchill Ave, è in bella mostra un cannone d’altri tempi con un calibro esageratamente grande; si stenta a credere che abbia mai potuto funzionare.
Lungo i marciapiedi si alternano zone adibite a campeggio non autorizzato con tende di fortuna fatte con materiali di risulta a zone adibite a bazar con vendita di alimentari, frutta, verdura e casalinghi. A questi vanno aggiunti venditori con mezzi semoventi… carriole piene di tronchetti di canna da zucchero, agrumi verdi, o papaie. L’insieme contribuisce ad aumentare la sensazione di degrado ma, come detto prima, un degrado pulito.
Saliamo verso il belvedere; nella zona nord della città c’è una collina completamente ricoperta da eucalipti. E’ il grande polmone verde della capitale; sono i Monti Entoto e da qui c’è una bella visuale sulla città sottostante. In cima c’è la chiesa a pianta ottagonale di Entoto Maryam che nel 1882 ospitò la cerimonia di incoronazione di Menelik II. All’ingresso del cortile un prete con in mano una bibbia fa la guardia alla cassetta delle offerte; questa è sigillata con tante strisce di carta incollata su cui campeggiano diversi timbri di enorme fattezza e decine di firme… come a dire… fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Tante persone in… non perfette condizioni fisiche sono parcheggiate nel cortile della chiesa; una di queste, seduta sui gradoni della chiesa nel suo abito giallo sgargiante e protetta dal sole da un ombrello, con una mano tesa chiede l’elemosina al nostro passaggio e con l’altra… tiene il telefonino con cui parla animatamente...!?!?
La chiesa è in pietra con tetto in lamiera; porte finestre e la balaustra del ballatoio che gira tutto intorno all’edificio sono in legno verniciato con colori vivaci con predominanza dell’azzurro, forse in onore di Maria a cui è dedicata la chiesa. Accanto alla chiesa c’è il museo che custodisce alcuni cimeli religiosi e non; il custode all’ingresso, ligio al dovere, catechizza tutti sul divieto assoluto di fare foto all’interno…
La collina oltre a essere il polmone verde di Addis Abeba è anche una fonte quasi inesauribile di legna per i cittadini della capitale; decine di donne discendono la strada verso la città trasportando enormi cataste di fascine di eucalipto. Si arrabbiano molto se si tenta di fotografarle.
Due scene controverse a pochi metri di distanza una dall’altra fanno riflettere. Chiedo a un anziano signore seduto sul muretto del cortile della chiesa il permesso di scattargli una foto; accetta e si mette in posa. Dopo lo scatto gli do due birr; il vecchietto me ne restituisce uno, evidentemente gli sembra troppo per la prestazione svolta. Il birr restituito lo infilo nella cassetta delle offerte posizionata li vicino e ne approfitto per chiedere il permesso di scattare una foto al prete che la custodisce; questo controlla l’ammontare dell’offerta e… rifiuta. Per Cristo saremo anche tutti uguali ma il prezzo per una foto cambia se sei un prelato!!!
Mangiato un ottimo spicchio di pizza bianca ben lievitata e cotta bene; l’hanno chiamata ampush. I primi tucul che si incontrano scendendo da Entoto sono utilizzati sia come alloggi sia per lo stoccaggio e la vendita del carbone. Sarti e costruttori di bare occupano, in questa zona, gli spazi sul marciapiede lasciati liberi dagli altri esercenti. Ripassiamo davanti alla bella struttura dell’università e ci fermiamo al Museo Nazionale dell’Ethiopia.
Simpatici i bambini delle scuole primarie scaricati da un paio di bus scalcagnati; per evitare l’affollamento all’interno molti sono parcheggiati ordinatamente all’esterno, sullo scalone d’accesso al piano terra. Quaderno e penna per gli appunti in una mano, biglietto d’ingresso nell’altra mano o tra le labbra, divisa blu… maschietti da un lato e femminucce dall’altro… e noi passiamo nel mezzo.
La cosa di maggior interesse, per me, in questo museo è lo scheletro fossilizzato completo al 40% di un ominide vissuto 3,2 milioni di anni fa; è una femmina alta poco più di un metro che già cammina in posizione eretta, quindi la si può considerare una nostra progenitrice. E’ stata ritrovata nel 1973 nel nord est dell’Ethiopia; scientificamente il suo nome è australopithecus afarensis ma gli scopritori la chiamarono affettuosamente Lucy in onore della canzone dei Beatles Lucy in the sky with diamonds che furoreggiava all’epoca del ritrovamento ed è con questo nome che è conosciuta nel mondo mentre i locali preferiscono chiamarla Dinqinesh che in amarico significa Tu sei meravigliosa.
In una teca, in posizione orizzontale, sono custodite le copie delle ossa rinvenute; gli originali sono da tre anni negli USA per una serie di esami particolari. In un’altra teca, in posizione eretta, lo scheletro completo di Lucy con le copie di colore bianco delle ossa ritrovate e di colore scuro quelle a completare. E’ stata una visita emozionante, da pelle d’oca.
I ragazzini che educatamente e silenziosamente hanno ascoltato le spiegazioni dei loro maestri e preso appunti… con la coda dell’occhio non ci hanno perso di vista un attimo; ci hanno scrutati da cima a fondo e studiato in ogni nostro movimento e forse, non a torto, ci hanno considerati come altrettanti oggetti da museo. All’uscita dal museo, prima uno e poi tutti gli altri, hanno cominciato a stringerci la mano; sorridenti e felici alcuni, seriosi gli altri… non finivano mai!
Il mercato di Addis Abeba è considerato il più grande d’Africa; arriviamo qui a bordo di un minibus col quale stiamo facendo una specie di City Tour. Già l’ingresso a quest’area mi affascina; assieme gli altri mezzi motorizzati come bus, camion e taxi abbiamo difficoltà ad andare avanti perché la sede stradale è piena zeppa di persone, portatori con carichi inimmaginabili, somarelli singoli o a branchi tutti stracarichi di mercanzie. Con grande difficoltà e un briciolo di fortuna il nostro autista trova un buco per parcheggiare; ci diamo un appuntamento ma capiamo subito, e l’autista per primo, che per noi sarà immensamente difficile ritrovare il minibus in questa immensa area… immensamente affollata. Così ingaggia il primo ragazzo dall’aria sveglia che gli capita a tiro che ci seguirà e riporterà al bus all’ora stabilita.
Parte del mercato è coperto e si svolge in vari edifici ma la gran parte è all’aperto tra un edificio e l’altro e via via continua tra le strade e i vicoli del quartiere che lo ospita. E’ per questo motivo che in tutte le pubblicazioni dove si parla di questo luogo le cifre non possono che essere approssimative; si parla di diversi chilometri quadrati di estensione, più di 13000 persone che vi lavorano, non meno di 7000 punti vendita, ecc.
L’unica cosa certa è che è organizzato a settori e in ogni settore viene venduta la stessa tipologia di merce. Così all’improvviso ti trovi circondato da milioni di paia di scarpe di tutte le forme, colori e misure; questi venditori utilizzano come punti vendita degli scatoloni metallici posti uno accanto all’atro e per proteggersi dal sole cocente hanno coperto con ombreggianti le strette vie. Il puzzo della plastica con cui sono fatte la maggior parte delle scarpe è nauseabondo. Scappato dalle calzature sei fatto prigioniero da migliaia di polli stipati uno sull’altro in piccole stie di legno a forma di cupola. Immediatamente vieni catapultato nel settore delle spezie; enormi sacchi contengono polveri e granelli di varie colorazioni e profumi che si mischiano e… danno un po’ alla testa. Nel reparto abbigliamento le venditrici, quasi tutte giovani, si distinguono per il look ricercato e il make up pesante.
Per chi è nuovo del mercato e cerca un settore in particolare c’è un ottimo sistema per orientarsi; se cerchi delle sedie basta seguire a ritroso il percorso dei portatori che trasportano in testa enormi pile di sedie di plastica bianche, rosse o blu. Se invece vuoi comprare delle latte di plastica da trenta litri per trasportare acqua o liquidi vari devi seguire la scia a ritroso dei portatori che trasportano con difficoltà dei voluminosi insiemi di latte gialle o blu.
Una nota particolare la meritano i portatori di… materassi; è incredibile il numero di questi che riescono a portare in equilibrio in testa. Un equilibrio, in questo caso, molto labile tanto che basta un leggero urto di un passante o un’automobilista che non si ferma in tempo e… la strada viene invasa da decine di materassi. In questi casi è bello vedere la solidarietà che scatta tra i passanti; in molti si adoperano a recuperare il materiale sparso, a impilarlo e rialzarlo da terra quanto basta affinché il povero portatore possa infilarsi sotto, sistemarsi in posizione idonea e ripartire veloce fino… alla prossima caduta spettacolare del carico.
Passare un paio d’ore in questo marasma, bighellonare qua e la senza meta è stato bello e interessante; è talmente vasto che è praticamente impossibile incrociare altri turisti come noi e la gente del posto ti accoglie con indifferenza o simpatia, mai con astio, e questo non guasta.
Decidiamo di cenare in un locale tipico dove c’è anche musica dal vivo. Per arrivarci prendiamo due taxi; ci accordiamo per 110 birr a macchina per quindici minuti di cammino sulle strade ormai vuote della capitale. L’80% dei taxi della città sono vecchi Fiat 124 color blu notte che da anni sono li pronti a esalare l’ultimo respiro ma i proprietari in un modo o nell’altro riescono a tenerli in vita; appena riusciti a chiudere le portiere partiamo e subito siamo avvolti da una nuvola di vapori di benzina incombusta mista a gas di scarico. Sarei curioso di vedere quanti chilometri segna il contachilometri ma il cruscotto è abbuiato; al primo incrocio dove occorre dare la precedenza arriviamo paurosamente lunghi, segno evidente che l’impianto frenante è ormai poco più di un optional. Gesti di scusa verso l’altro conducente dell’auto ferma con noi in mezzo all’incrocio e via verso la meta sorpassando a destra o a sinistra altre auto ancora più disastrate della nostra. Il locale è grandissimo e centinaia di persone stanno già cenando; siamo parcheggiati in una buca in un angolo in attesa che si liberino dei posti, cosa che accade di li a poco. Sul palco ci sono quattro strumentisti fissi con percussioni e strumenti a corda mentre si alternano ballerini, ballerine e cantanti. Ci sono molti stranieri ma siamo in nettissima minoranza.
La scelta di questo locale è stata azzeccata sia per il cibo e soprattutto per la musica che è vera e non adattata a fini turistici come avevo il sospetto che fosse. La prova è nel coinvolgimento del pubblico locale; il massimo di questo si è avuto quando sul palco è salito un omone vestito con una sahariana color sabbia e pantaloni corti. Dall’entusiasmo con cui è stato accolto, soprattutto ma non solo dal pubblico femminile, si è capito che non è uno qualunque; la musica è ritmata e per certi versi monotona ma molto coinvolgente. Il cantante alterna momenti di canto a dialoghi e silenzi.
Tra il pubblico molti ballano seduti al tavolo facendo spallucce al ritmo dei tamburi; nei momenti più intensi molti si alzano in piedi a ballare, soprattutto donne che ballano guardandosi fisse negli occhi con atteggiamento di sfida prolungata per poi sedersi e ridere compiaciute. Molti uomini salgono sul palco, salutano il cantante e accennano con lui alcuni secondi di ballo; faccia a faccia iniziano a far vibrare il corpo a un ritmo sempre più elevato.
E’ un vero istrione; nei momenti di dialogo deve dire cose simpatiche perché chi lo capisce ride o sussulta. Risponde ai saluti del pubblico indicandoli con l’indice mentre canta come a dire… queste parole le dedico a te e tutto questo in una interminabile, per noi, performance durata più di mezz’ora con i musicisti che non si sono fermati un attimo producendo la stessa musica, lo stesso monotono ritmo per tutti questi interminabili minuti.
Preso un ottimo tibs non speziato servito in un tegamino di terracotta su di un fornelletto dello stesso materiale con dei pezzi di carbone acceso; a completare tre salsine speziate di cui una immangiabile e due tipi di injera in rotoli di cui uno di colore più scuro e dal sapore meno acidulo. Il caffè è buono ed è servito accompagnato da un cestino di pop corn.
Al ritorno la trattativa con i tassisti è lunga e laboriosa; restiamo perplessi quando raggiunto l’accordo veniamo invitati a salire su di una macchina privata senza l’insegna del taxi ma gli altri tassisti presenti ci fanno segno che è tutto ok.
Il nostro autista percorre una strada diversa, rispetto all’andata, per raggiungere il nostro hotel; il punto di partenza e di arrivo sono lontani tra loro e ci sta che ci siano più strade percorribili. A un certo punto però imbocca una via al cui inizio un gran numero di pietre poste a terra indicano chiaramente un ostacolo, un pericolo o un’interruzione come ormai abbiamo imparato in queste settimane etiopi; ora lo ha imparato anche il nostro autista che dopo poche centinaia di metri è costretto a tornare indietro per strada interrotta facendoci al contempo ascoltare un discreto repertorio di bestemmie in lingua amarica…

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