Tum
Lunedì, 13 febbraio 2012
Avevo dimenticato come è bello svegliarsi al canto del muezzin che anticipa quello del gallo. Prepariamo la colazione e smontiamo il campo tra una marea di ragazzini che la guardia non riesce a tenere a bada… figuriamoci se il pericolo fosse maggiore…
E’ arrivato il momento di pagare Chu Chu; questo tizio è quello che ci ha organizzato in loco il trek procurandoci muli, mulattieri, portatori e guida. Prima guidava i gruppi personalmente mentre ora si limita a fare il boss della situazione e a noi come guida ci ha affibbiato Mannaie che è un giovane inesperto, svogliato e presuntuoso che non ci ha convinto molto. Siamo al bar del villaggio pieno di militari che stanno facendo colazione; anche se era già tutto pattuito ne esce fuori un’altra trattativa con Chu Chu che argomenta lungamente quando ci sono dei punti controversi per tirare l’acqua al suo mulino mentre si limita a dire ho dimenticato o mi sono sbagliato quando i punti sono spudoratamente a nostro favore.
Alla fine, tolti i soldi che avevamo anticipato in corso d’opera a guida e portatori, gli diamo poco meno di 9500 birr con i militari presenti che sgranano gli occhi visto che loro rischiano la vita per molto meno.
Partiamo da Tum con animo contrastato; siamo contenti che alla fine ci sia andata bene, un po’ meno se pensiamo che se non ci fosse stato questo contrattempo ora saremmo ancora a fare trek tra i Surma che poi è lo scopo principale che ci ha portati in Ethiopia.
Allontanandoci da Tum le persone si diradano velocemente tanto che per chilometri non si incontra anima viva per strada poi, quando si risale a un’altitudine che permette la coltivazione o l’allevamento, le persone e gli animali si moltiplicano così come gli agglomerati di tucul. Ci sono molti fazzoletti di terreno, quasi sempre scoscesi, in cui le piantine di mais sono alte tra i 30 e i 50 centimetri; si nota come siano state piantate a mano in modo disordinato e comunque molto più diradate che da noi sicuramente perché queste piantine devono completare il proprio ciclo di vita con meno acqua a disposizione.
Un grosso albero piantato al centro di un incrocio fa da rotonda, punto di riferimento e con l’ombra della sua folta chioma accoglie sotto di se piccole venditrici di banane, lustrascarpe e passeggeri che aspettano i propri mezzi di trasporto che possono essere normali bus, minivan o i cassoni degli Isuzu per le più disparate destinazioni. Tutto intorno a questo albero sono sorte, come sempre accade in questi casi, un sacco di piccole attività che vanno dalla riparazione di mezzi e cose al sostentamento. Per un birr si ottengono due banane locali di piccole dimensioni. Il pane viene cotto in grosse teglie; in pratica viene sfornata una grossa pizza di un metro per due alta dieci centimetri. Un cubetto di questo pane di 10 centimetri di lato costa 2 birr. I samosa fritti costano 3 birr l’uno e sono ripieni di riso e lenticchia anche se il ripieno varia a seconda della zona e della disponibilità.
Da qui in poi la strada comincia a essere più affollata; fuori dei villaggi per affollamento si intende incrociare un veicolo in media ogni chilometro. Alcuni tratti sono asfaltati mentre il resto è un immenso cantiere dove viaggiare è drammaticamente peggio che sullo sterrato.
L’aumento esponenziale di viandanti e asinelli che percorrono i bordi della strada indica chiaramente che ci stiamo avvicinando a un mercato. Per raggiungerlo occorre discendere un sentiero che parte dalla strada fino a un piccolo ruscello e risalire sulla collina di fronte. Non è grande; ha una struttura fissa al centro fatta di pali di legno e coperta con ombreggianti al cui interno ci sono i venditori di cipolle, pomodori, ortaggi e alimentari in genere. I compratori sono all’esterno della semplice struttura. La compravendita di animali è limitata a polli e galline; il reparto delle stoffe è molto fornito e frequentato con sarti e stiratori che completano il quadretto. Attrezzi da lavoro, scarpe e barattoli di latta trasformati in fornacelle, imbuti, setacci e altro fanno reparto comune.
Anche qui di bianchi occidentali devono averne visti pochi tanto che in breve tempo ognuno di noi ha un codazzo di curiosi, non solo ragazzini, che saturando gli stretti passaggi tra i banchetti impediscono il normale passaggio dei compratori con inevitabili malumori da parte dei venditori, mai rivolti però verso di noi ma verso i curiosi… accompagnatori.
Tornati sulla strada non possiamo non notare la banca che è in un piccolo edificio circondato da un recinto di filo spinato e controllato dalla classica guardia armata all’ingresso. Bevuta una bella birra fredda; non è la San Giorgio che ormai abbiamo battezzato come la migliore tra le birre etiopi ma… la peggiore birra fredda è migliore della migliore birra calda.
Il gasolio costa 20 birr al litro ma non si può fare un paragone con i nostri carburanti perché qui la qualità è infima. Poco fuori Bonga, alloggiamo in un bungalow con uso cucina e doccia con acqua calda che dopo una settimana di trek ci appariva come un miraggio nei sogni notturni.