Bonga
Martedì, 14 febbraio 2012
Gli autisti delle nostre due Toyota 4x4 devono mettercela tutta per guidarci su queste strade. E’ tutto un cantiere con mezzi pesanti che vanno su e giù a caricare il terreno che grosse ruspe ed escavatori rubano alle colline per scaricarlo nelle valli vicine per livellare il più possibile il futuro nastro d’asfalto che percorrerà questi ondulati altopiani.
I classici tucul o le nuove abitazioni che le stanno soppiantando, stesso criterio costruttivo ma a base rettangolare e tetto in lamiera, sono circondate da decine di piante di Enset conosciuto anche come falso banano. Il banano e il falso banano si somigliano molto e crescono nello stesso habitat per cui a una lettura superficiale viene da chiedersi come mai in una zona povera come questa si preferisca piantare intorno casa una pianta che non da frutti al posto di un banano che di frutti ne fa. La risposta è semplice; il banano fa un casco di banane all’anno che al prezzo al dettaglio di mezzo birr a frutto non sfama di certo una famiglia mentre dal falso banano si produce, tra l’altro, un pane chiamato kotcho; la FAO ha stimato che 40-60 piante di enset garantiscono la sopravvivenza di una famiglia di 5-6 persone. Per non parlare delle resistenti foglie usate per avvolgere alimenti o altro e il legno che serve alla costruzione e manutenzione di case, tetti e recinti.
Aumenta il numero delle persone per strada; c’è un mercato ma non ci fermiamo perché è presto e abbiamo ormai capito che il clou si ha tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio quando anche quelli che provengono dai posti più remoti sono riusciti ad arrivare e prima che quelli che hanno già comprato o venduto il necessario se ne siano andati.
Nell’avvicinarsi alla zona del mercato, lungo la strada compaiono in bella evidenza delle bilance; sembra strano perché intorno a esse non ci sono merci in vendita. Servono ai venditori che vanno al mercato per pesare la merce che portano, per avere un’idea, penso, su quanto possono ricavare dal sacco di cereali o legumi o altro che hanno trasportato fin li in spalla o a dorso degli asinelli. Logicamente il servizio è a pagamento.
In Ethiopia vige il calendario Copto che è sfasato di circa sette anni e otto mesi rispetto al nostro Gregoriano; l’anno inizia l’11 settembre e ci sono dodici mesi di trenta giorni più un tredicesimo di cinque, sei nei bisestili. Oggi è selùs, 6 Yecatìt 2004. Oltre agli anni anche le ore sono calcolate in maniera differente; si comincia a contare dall’alba per cui le due locali corrispondono alle nostre otto del mattino e le nove etiopi corrispondono alle nostre tre del pomeriggio.
Nell’enorme cantiere stradale spiccano gli sbriciolatori di pietre; come in tutti i paesi dove la manodopera abbonda ed è a buon mercato anche qui i camion scaricano grossi massi sul ciglio della strada e decine di uomini e, soprattutto, donne armati di mazzuole li sminuzzano in pietre di forme e misure adeguate alla destinazione finale. In questa zona stanno ricavando pietre abbastanza grandi che andranno a rivestire le canalette a bordo strada.
Islam e Cristiano-Copto si dividono il mercato religioso in parti quasi uguali; mentre nelle città le due comunità convivono promiscuamente, o così appare, nelle zone rurali la separazione è più marcata tanto che percorrendo la strada si attraversano zone dove i tucul sono abitati da persone vestite in stile tipicamente islamico che si alternano a zone dove questi sono assolutamente assenti.
Più ci si avvicina a Jimma più si intensificano i lavori stradali tanto che in alcuni casi è necessario deviare il traffico su improvvisate piste nelle campagne limitrofe; qui entrano in gioco degli improvvisati sbandieratori che con… improvvisate e multicolori bandierine dirigono il traffico da una parte o dall’altra o lo fermano quando un mezzo pesante è all’opera. Si vede comunque che non è una prassi comune viste le evidenti e continue incomprensioni tra autisti e sbandieratori.
Uno dei problemi nel costruire strade in questi luoghi è la mancanza di grosse quantità d’acqua necessarie per la cementificazione; a tale scopo vengono costruite in punti strategici delle grosse buche che camion con cassone trasformato in cisterna regolarmente provvedono a riempire d’acqua. E’ bello vedere le catene umane che si passano i secchi riempiti d’acqua in queste buche e svuotate nei camion betoniera.
Siamo ormai nell’immediata periferia di Jimma; il numero di veicoli pesanti e leggeri è cresciuto notevolmente tanto da poter parlare di traffico. Questo genera un tale polverone che la visibilità è paragonabile a quella della Val Padana nelle peggiori condizioni di nebbia. La cosa incredibile è che in questo nebbione c’è gente che continua a svolgere il proprio lavoro sul ciglio della strada come i gommisti che riparano gli pneumatici o i saldatori che costruiscono cancelli o riparano semiassi di camion o calessi stroncati dalla vetustà e dal sovraccarico o i cuochi che friggono i samosa che poi vengono venduti fragranti e… croccanti per la polvere. Penso che in questo minuscolo angolo d’Ethiopia la definizione di girone dantesco sia la più appropriata.
Caratteristico mezzo di trasporto, in questa città, sono i barocci a ruote gommate trainati da uno e avvolte due muli o cavalli di piccola taglia; sono adibiti al trasporto di cose o persone. In quest’ultimo caso hanno una tipica capotte rotonda come se i passeggeri fossero protetti da un’enorme ombrellone estivo.
Colazione-pranzo in un locale che in passato deve aver conosciuto tempi migliori come si evince da eleganti pezzi di specchi alle pareti e sul soffitto non ancora andati perduti. Ottimo ruotino di legumi stufati, asciutti, accompagnato da una grossa frittata… senza uova; sono finite. La visita alle cucine è vivamente sconsigliata a chi è… debole di stomaco.
Di tanto in tanto si vedono degli edifici in muratura; sono scuole costruite con aiuti internazionali e la loro caratteristica è quella di essere tutte uguali a centinaia di chilometri le une dalle altre.
Mentre da noi le serre sono costruite per proteggere gli ortaggi dal freddo qui vengono costruite per proteggere le piantine dal sole cocente; sono alte circa un metro, struttura in legno e copertura in paglia o fascine. Quanto basta a fare ombra alle piccole piante sottostanti. Capitolo a parte sono le gigantesche, anche per estensione, serre viste all’andata non lontano dalla capitale; in quel caso si tratta di coltivazioni floreali.
Man mano che si procede verso nord c’è un proliferare di piccole moschee; non sono più grandi di una normale casa rettangolare con tetto in lamiera e da queste differiscono solo per il piccolo minareto, sempre in lamiera, che finisce a punta con in cima la mezza luna o un altro simbolo islamico e poco più sotto le trombe degli altoparlanti che diffondono la voce del muezzin ai quattro lati. In un paese povero come questo chi è che finanzia la costruzione di queste seppur piccole costruzioni…?
Alla nostra sinistra c’è un lago non presente sulle carte in nostro possesso; non è grande e le acque hanno un colore purpureo che si intona e quasi si mimetizza col giallo ocra delle colline circostanti.
All’ingresso di un bar un ragazzo seduto sui talloni sta tostando una manciata di caffè; il calore è dato da una fornacella con dentro alcuni pezzi di carbone accesi e sopra di questa un piatto di metallo, leggermente concavo, contiene i chicchi di caffè. Li mescola continuamente con un pezzo di ferro leggermente ricurvo all’estremità.
Quelli che io chiamo bar sono delle stanze che danno sulla strada; in un angolo c’è un piccolo banco alto e largo circa un metro e mezzo rigorosamente fatto a mano inchiodando tra loro assi di legno per cui anche le misure variano da… mano a mano. Dietro ci sono gli scaffali desolatamente vuoti; il banco ha più che altro la funzione di nascondere i contenitori d’acqua dove vengono lavati tazze e bicchieri o dove vengono tenute al fresco… le birre calde… dove queste vengono vendute. La vendita in questi locali è monotematica; o birra imbottigliata, o birra di sorgo, quasi esclusivamente al sud, o caffè, o tè che anche qui chiamano chai. Tè e caffè spesso fanno eccezione e vengono venduti assieme; in questo caso le bevande sono contenute in grossi thermos. Sulla nuda terra che fa da pavimento poche sedie spaiate, panche di legno e tavolini; il loro numero più o meno alto è indice di una maggiore o minore frequenza dei clienti. Le tazzine rigorosamente spaiate per il tè o il caffè sono senza manico o per nascita o perché lo sono diventate dopo volutamente o a seguito di… incidenti. Alle pareti due, massimo tre poster giganti di veline o calciatori.
Questa descrizione è valida per i villaggi del sud o per quelli sorti spontaneamente ai bordi delle strade; nelle città più o meno grandi ci sono bar degni di questo nome con varietà e quantità di prodotti in vendita maggiore.
Le continue soste per visitare piccoli villaggi e mercati o per mangiare qualcosa ci stanno abbassando di molto la media tanto che c’è un camion che trasporta balle di cotone grezzo che abbiamo sorpassato diverse volte da questa mattina; è disumanamente sovraccarico ma la cosa peggiore è che il carico del rimorchio si è spostato e pende tutto da un lato. Per i due autisti è impossibile risistemarlo; sciogliere una corda farebbe crollare a terra metà carico così procedono lentamente con semiassi e ammortizzatori sinistri sollecitati al massimo e il triangolo legato al carico che sporge una metrata oltre la sponda sinistra. In queste condizioni non è facile sorpassarlo.
Stiamo attraversando una zona in cui si producono mele; ai bordi della strada, all’altezza dei tucul, ci sono i bambini che mostrano ai viaggiatori piatti con dentro le mele di colore verde. Sono vendute anche al mercato a 3 birr l’una, l’equivalente di sei banane di media grandezza.
In questo mercato ci sono tanti macellai e tantissimi compratori; l’impressione è che la carne in vendita in queste macellerie non sia quella dei tagli pregiati. Sui banchi si vedono tanti mucchietti di carne con più o meno grasso, mucchietti di solo grasso, ossa spolpate e teste scarnificate; pezzi di costato o lombi da cui tagliare una bistecca o una fettina saranno in vendita da un’altra parte del paese o addirittura all’estero.
In un villaggio lungo la strada simpatici il parcheggio dei ciuchi sotto una traballante pensilina, il prete copto che si mette in posa mostrando con orgoglio la sua croce e il barbiere con il suo vistoso camice giallo indossato forse per differenziarsi dal cliente a cui ha affibbiato un’altrettanto vistoso camice viola.
Ci fermiamo per la notte a Welisoo a pochi chilometri da Addis Abeba; questo villaggio sulla statale si sta ingrandendo a vista d’occhio. Ci sono numerosi alberghi e altrettanti ne stanno costruendo, ci sono tanti negozi e una grande stazione di pullman; il tutto cresce in maniera disordinata. Caratteristiche le macellerie appena fuori o dentro gli alberghi con ristorante; il cliente ordina, il cuoco o chi per esso esce fuori e compra la carne giusta. Il macellaio la taglia nella forma dovuta, la pesa e la consegna al cuoco che paga e va a cucinarla. I privati chiacchierano molto col macellaio prima di decidere da quale pezzo tagliare la carne da comprare. In queste macellerie la qualità della carne è decisamente migliore rispetto a quella vista nei mercati; è tenuta fuori, non esistono frigoriferi, il colore è rosso scuro e quando ne viene tagliato un pezzo si ha la netta sensazione che sia rinsecchita. Sarà l’altitudine, ma nonostante tutto non si vedono animaletti svolazzare intorno alla carne e non si sentono cattivi odori.