El Calafate

15 febbraio 2010, lunedì

Oggi è un’altra giornata stupenda con cielo azzurro e vento quasi assente. In albergo noto delle persone vestite quasi tutte allo stesso modo, impettiti, auricolare all’orecchio… sembrano poliziotti in incognito.
Dopo colazione visiteremo il parco del ghiacciaio Perito Moreno; è obbligatorio avere una guida e questa ci informa subito che oggi in occasione dell’anniversario della creazione del parco ci sarà la visita della Presidentessa Cristina. Ecco spiegata la presenza degli agenti segreti in albergo; chiedo conferma al nostro Super Mario, ex Casco Blu in pensione, che mi fa immediatamente segno di far silenzio, di non spargere la voce. La cosa mi diverte perché questi agenti erano talmente in incognito, talmente segreti che tutti noi li avevamo notati.
La cosa meno divertente sarà che le misure di sicurezza per la Presidentessa rischieranno di ostacolare il nostro giro. Paghiamo 75 $ a testa come ieri per l’ingresso al parco. Passiamo indenni ai numerosi posti di blocco; quando ne incontra uno, fisso o mobile, l’automobilista rallenta sempre e va via o si ferma a seconda dell’indicazione degli agenti.
Strada facendo ci fermiamo in un belvedere dove c’è una bella vista sulla parte del fronte del Perito Moreno che non abbiamo visto ieri; per arrivare alla punta della Penisola di Magellano la strada costeggia il Brazo Rico al contrario di ieri che abbiamo navigato lungo il canale Los Témpanos. Poco dopo esser ripartiti dal belvedere Elisa si accorge d’aver dimenticato li la borsa con la telecamera; è impossibile invertire la marcia del minibus perché la strada è stretta e tutte curve così di corsa fino al luogo incriminato. Fortunatamente la telecamera c’è ancora.
Lasciando la città stamattina abbiamo notato un nutrito gruppo di persone di chiara origine argentina, tutti con cappellino giallo in testa, che lasciato un albergo stavano salendo in un paio di pullman turistici; scopriamo che sono la clac della Presidente e che, armati di bandiere e tamburi, stanno percorrendo, nostro malgrado, lo stesso nostro itinerario.
Il percorso è tutto su passerelle di ferro zincato e legno di recente costruzione che portano a punti di osservazione sparsi un po’ ovunque. Sulla parte della Penisola di Magellano che guarda il fronte del ghiacciaio le passerelle privilegiano la vista sulla parte che abbiamo visto ieri e su quella centrale.
A differenza di altri ghiacciai che stanno regredendo questo è stazionario infatti i tanti crolli che avvengono soprattutto d’estate vengono compensati dal costante avanzamento del ghiacciaio che in questo caso è di 2 metri al giorno nella parte centrale. Nel suo avanzamento, spesso si unisce alla punta della Penisola di Magellano che è vicinissima alla parte centrale del fronte; così facendo crea una vera e propria diga di ghiaccio chiudendo l’unico sbocco del Brazo Rico verso il Lago Argentino. Il livello dell’acqua aumenta sempre più e con esso la pressione esercitata sulla diga di ghiaccio. Quando la diga non riesce più a contenere la massa d’acqua crolla generando una spettacolare esplosione di ghiaccio; questo fenomeno che ha reso famoso nel mondo il ghiacciaio si è ripetuto diciassette volte negli ultimi novanta anni. E’ impensabile che un bestione del genere sia in movimento; su guide, opuscoli e depliant c’è scritto che il Perito Moreno ha una superficie di 200 chilometri quadrati ma è solo guardandolo dall’alto che si ha quella sensazione di grandezza, di immensità che un freddo numero non può darti.
I visitatori sono tanti ma equamente distribuiti sul percorso; c’è chi preferisce camminare per avere uno sguardo d’insieme e chi si ferma in un punto e scommette su una guglia o su un pezzo di ghiaccio in equilibrio instabile pronto a cadere. La spettacolare giornata di sole priva di vento consente di fare qualsiasi cosa nel massimo relax.Nel punto più vicino al fronte un cartello di pericolo sconsiglia di lasciare il sentiero per avvicinarsi di più a esso ricordando che quando il ghiaccio crolla tantissimi pezzi vengono proiettati violentemente a decine di metri tutt’intorno e che questo a già causato la morte di 32 persone tra il 1968 e il 1988.
Una giovane mamma francese con bambino in spalla è inciampata sull’ultimo gradino della passerella che porta al punto d’osservazione principale, quello con la bandiera argentina che sventola sul pennone, e ha battuto violentemente il ginocchio sul grigliato metallico che funge da pavimento. Vista la gravità vengono chiamati subito i soccorsi; inizia dopo un po’ un lungo peregrinare di addetti e personale del parco in borghese con cartellino al petto o in divisa verde con cappello da ranger. Ognuno constata la situazione e chiama via radio qualcun altro; questo via vai dura una ventina di minuti fino a che arriva finalmente una barella e la sfortunata viene portata via.
Una giovane donna con neonato in braccio e sorella al seguito si avvicina a tutti quelli che sono seduti sulle balaustre e li fa scendere; alla richiesta di spiegazioni afferma di essere una poliziotta... In servizio 24 ore su 24, anche in vacanza, anche in maternità!?!
E’ da quando siamo arrivati che è un continuo tuonare a ciel sereno, segno inequivocabile che questa montagna di ghiaccio è viva; i crolli si susseguono ma quando vediamo venir fuori dall’acqua un enorme blocco di ghiaccio senza il classico boato scopriamo che questi si staccano anche dalla parte sommersa del fronte. Infatti a fronte dei 60 metri d’altezza media che affiorano c’è ne sono 135 metri sommersi; questo enorme blocco lo soprannominiamo il sottomarino, è molto sporco, segno che era a contatto con la morena, e più grande dei catamarani che gli si affiancano.
Siamo vicini al confine cileno, confine che corre lungo la Cordigliera delle Ande; questa fa da barriera alle nuvole cariche di umidità che arrivano dal Pacifico e che quindi scaricano la pioggia sulle preande. Si è creata così una specie di linea di demarcazione netta tra la zona boschiva a ridosso delle Ande e la steppa patagonica priva di alberi.
La cittadina di El Calafate prende il nome dal Calafate che è una pianta sempreverde che cresce nella steppa; le piccole foglie si alternano a resistenti spine, i frutti commestibili sono piccole palline color prugna. La città è più vecchia del parco e nacque come punto di sosta e ristoro per i mandriani che portavano le bestie agli imbarchi sul Pacifico. Oggi è completamente votata al turismo; è sulle rive del Lago Argentino e ha una lunga strada principale centrale dove sono concentrati negozi e ristoranti. Questi ultimi, come gli altri visti finora in Patagonia, hanno in vetrina, in bella mostra, i cordero che si cuociono lentamente alla brace più un’altra griglia dove sono in cottura gli altri tagli di carne bovina, polli e salsicce. Sempre presente nel menù la trota locale, buona ma alla fine si casca sempre nella provocazione della carne alla brace.
Le birre sono tutte locali anche se il marchio è europeo; buona la Heineken ma quella che sembra essere un cult per gli argentini del posto è la Stella Artois la cui bottiglia da un litro è sempre presente sui tavoli dei giovani che passano qualche ora assieme a bere qualcosa.
Il parco auto è per metà nuovo e metà vecchio; tra quest’ultime la parte del leone la fanno le vecchie Fiat come la Uno e la Duna. Della casa italiana circolano ancora 124, 128, 600, 1100 e 1500 ma in numero limitatissimo. Tra i giovani c’è la cultura dell’auto roboante.
In Argentina c’è petrolio quindi il prezzo di benzina e diesel è relativamente basso; rispettivamente 2,759 $ e 2,649 $ al litro ma la qualità non è eccelsa così si passa violentemente dall’aria pulitissima della steppa patagonica alla puzzolente scia lasciata dalle auto. Fortuna che il vento porta via subito questa schifezza. E’ comunque un tuffo nel passato sentire i motori che parlano lingue diverse tanto da riconoscere il tipo di auto prima di vederlo.

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