Roma

7 febbraio 2010, domenica

Saliamo sull’aereo alle 0.30; è un Airbus A340-200, un modello vecchiotto con ancora gli schermi grandi per le proiezioni. Ci sono due corridoi che dividono i due posti lato finestrino dai quattro centrali. Il comandante Gustavo Gimenez ci informa che impiegheremo tredici ore e mezza a 9300 metri d’altezza per coprire gli 11165 km che ci separano da Buenos Aires.
Se il buon giorno si vede dal mattino… alla mia sinistra c’è un omone che prende un posto e mezzo e davanti c’è un ragazzino che in men che non si dica ha movimentato la poltrona sei volte. Ci muoviamo e prima di decollare ci siamo allontanati dalla meta di ben quattro chilometri.
Alle 1.10 decolliamo; la spinta a terra non è violenta e la sensazione è che il comandante si sia preso tutta la pista disponibile ma alla fine l’aereo si stacca da terra dolcemente. La direzione e verso il mare e senza virare in poco tempo siamo al nord della Sardegna; passiamo sopra Sassari e quando risiamo in mare aperto c’è la prima virata in direzione dell’Algeria.
Alle 2.10, quando tutti si sono organizzati per dormire, si riaccendono le luci… si mangia. Stiamo sorvolando l’Algeria alle spalle del confine marocchino; c’è da scegliere tra pasta o riso. Pennette all’amatriciana prodotte il 13 gennaio 2010 con scadenza a sei mesi, insalatina mista, una pasta frolla ripiena di gel ai frutti di bosco, un cioccolatino, un panino dolce molto ino e una lattina di birra Isenbech peggiore delle nostre più scadenti.
Il mio vicino, l’omone, ha mangiato il tutto in quattro minuti e trenta e dopo qualche secondo di pausa… si è leccato le dita. Al secondo passaggio del carrellino preso un bicchiere di vino bianco; non sono riuscito a leggere l’etichetta ma è secco e profumato. Intanto sui monitor è proiettato l’ultimo film della serie di Henry Potter.Alle 11.00 ore italiane siamo ormai tutti svegli da molto ma le luci continuano a essere spente e gli oblò chiusi tranne uno rotto dal quale è cominciata a filtrare luce verso le 9.30; l’aereo è pieno in ogni ordine di posti equamente divisi tra turisti e sudamericani di rientro. Qualcuno passeggia, altri vanno al bagno, i bambini piangono… fortuna che sono riapparsi i monitor e possiamo rivedere Henry Potter!
Il personale di bordo non è giovanissimo con qualcuno prossimo alla pensione. La rotta che stiamo seguendo è molto semplice, una linea retta dal nord della Sardegna giù per i paesi dell’Africa Occidentale, Oceano Atlantico e ora, sono le 12.00 ora italiana, siamo sulla costa del Brasile. Fra poco sorvoleremo Rio de Janeiro e tra due ore e mezza circa atterreremo a Buenos Aires.
Alle 10.30 ora locale il comandante, come da prassi, avvisa che sta cominciando la fase di discesa e che occorre raddrizzare lo schienale e allacciare le cinture; ma è solo una prassi per cui tutti continuano tranquillamente a dormire, leggere un libro, vedere il film, ascoltare musica fino a quando un vuoto d’aria lascia tutti col fiato sospeso. Si sente il solito gridolino, oooh, seguito da una serie di click da chi non aveva allacciato le cinture di sicurezza prima; quello che mi lascia interdetto però è la insolita corsa del personale di bordo ai propri posti a sedere. Capiamo subito il perché; una serie che sembra infinita di vuoti d’aria con l’aereo che perde l’assetto e scene di panico tra i passeggeri che rendono difficile mantenere un atteggiamento indifferente e la mente libera da… cattivi pensieri.
Dopo l’ultimo vuoto… il silenzio; un silenzio assordante come direbbe qualcuno, interrotto solo da qualche colpo di tosse o dai lamenti di qualche ragazzino che ancora non si è ripreso dallo spavento. Questo silenzio dura fino alle 11.10 locali, quando tocchiamo terra; un applauso liberatorio ci restituisce sorriso e parola.
Il controllo passaporti si svolge abbastanza velocemente ma con qualche discrepanza; in aereo abbiamo compilato il solito modulo d’ingresso e come quasi sempre il campo del recapito in Argentina si lascia vuoto anche perché si cambia spesso e andrebbero segnati una serie infinita di indirizzi. La signora che controlla il mio modulo ha insistito nel voler sapere l’indirizzo o il numero di telefono o l’e-mail del posto dove sono diretto. Alla fine mi son dovuto inventare un nome d’albergo per farla contenta mentre gli addetti degli altri sportelli non hanno fatto difficoltà ai viaggiatori nelle mie stesse condizioni.
I bagagli sono arrivati velocemente tanto che finite le operazioni di controllo passaporti li abbiamo trovati tutti sui nastri che ci aspettavano. Effettuato il primo cambio; 1 € = 5,25 $.
Siamo all’Aeropuerto Internazionale Ministro Pistarini più semplicemente chiamato Ezeiza dal nome della località dove sorge; è a sud est del centro a 22 chilometri. E’ l’aeroporto hub per la compagnia di bandiera argentina. Il volo per Trelew parte invece dall’altro aeroporto cittadino, il Jorge Newbery conosciuto come l’Aeroparque; si trova a due chilometri dal centro sulle rive del Rio de la Plata e ospita i voli nazionali e quelli per il vicino Uruguay.
Piove ed è caldo umido; prendiamo delle auto con autista per trasferirci all’Aeroparque. A giudicare dalla cura con cui il nostro autista cerca di non sporcare il baule della macchina con i nostri bagagli deduco che il veicolo è il suo. Il percorso è tutto in autostrada a quattro o cinque corsie su cui viaggiano auto nuove o vecchie scalcagnate; stranamente mancano modelli d’età intermedie. I quartieri che si attraversano non sono messi male.
L’Aeroparque è vicino allo stadio del River Plate; stiamo costeggiando il Rio de la Plata dalle acque marrone scuro accentuato dal cielo nuvoloso e dai vetri fumè dell’auto. Ci sono molti pescatori e di questi tante sono donne.
L’aeroporto non è nuovo ma funzionale; tutto intorno si vedono grattacieli. Check-in seguito da pranzo cena a seconda dell’ora locale o italiana; mangiamo al Banderata Grill all’interno dell’aeroporto. Bife de chorizo, patate fritte e birra Quilmes da mezzo litro per 108 $ in due; la bistecca alta più di due centimetri è cotta bene, buono tutto tranne i tempi d’attesa epici.
Nel corridoio che porta ai controlli è esposta la Fiat Siena prodotta in Brasile per il mercato Sudamericano; è una Punto tre volumi come la Duna lo era per la Uno. E’ una bella berlina e attira molti curiosi. In un lungo e largo corridoio sono sistemate le 12 uscite con altrettante sale d’attesa; le uscite sono in fila parallele alla pista e separate da questa da una lunghissima vetrata dalla quale si vedono sullo sfondo non lontano i grattacieli della città. Il nostro volo è ritardato alle 17.30; non si può dire che siamo fortunati con gli aerei.
Il volo è l’AR 2810 della compagnia Austral che è una sottomarca dell’Aerolineas Argentinas; l’aereo è un MD 80. Vista dall’alto Buenos Aires oltre ad apparire grande ha l’aspetto di una città moderna, urbanisticamente ben ordinata con strade che si intersecano perpendicolarmente tra loro. Il mare è calmo e color terra dovuto ai fiumi come il Rio de la Plata che sfociano in questa baia ricchi d’acqua viste le abbondanti precipitazioni di questi giorni.
Il viaggio dura più o meno un’ora e dall’alto la Penisola Valdés appare come un’immensa steppa con spiagge e strade sterrate; qua e la si notano delle aie prive di vegetazione che presumo siano dei punti di raccolta del bestiame al pascolo. Il mare è calmo quindi c’è vento di terra che in questo caso non può essere certo tramontana. Inizia la fase di atterraggio dopo aver assaggiato un panino con una fetta di prosciutto cotto e una fettina di formaggio color carota e un dolcetto ripieno di dulce de leche.
Si atterra su di una pista nella steppa e l’unica costruzione che si vede è la stazione aeroportuale; l’aereo proseguirà per Ushuaia per cui scende solo una parte dei viaggiatori e raggiungiamo a piedi la piccola costruzione in fase di ristrutturazione. In uscita vengono controllati tutti i bagagli perché in questa zona è vietato importare formaggi e altri alimenti.
Con un piccolo bus di una marca strana partiamo per Puerto Madryn; si percorre la Ruta 3, molto trafficata nel senso contrario al nostro. Stanno eseguendo lavori per il raddoppio; ora è a una corsia per senso di marcia. Velocità massima 60 km/h, rettilinei lunghissimi e poche curve.
Arriviamo a Puerto Madryn quando il sole è tramontato; non è piccola. All’ingresso della città c’è un Luna Park e a giudicare dal polverone penso che stasera avremo il primo assaggio del temuto vento Patagonico.
In albergo c’è un Dobermann di guardia che non ha fatto una piega al nostro arrivo; posiamo i bagagli e andiamo a cena. E’ tardi e rischiamo di non trovare nulla; non  è stata di nostro gradimento per 55$ a testa.

start prev next end