Puerto Natales

21 febbraio 2010, domenica

Questa mattina iniziamo il trasferimento verso la Terra del Fuoco; prima tappa sarà Punta Arenas. Scopriamo subito che la domenica mattina la città e deserta al contrario del sabato sera quando… non si vede anima viva. La città è in mano ai cani; ce ne sono tanti e scorrazzano per le vie del centro senza dare però motivo di preoccupazione alle persone; spesso ti adottano e ti seguono per qualche quadra.
Nonostante sia una città di mare non si vede una flottiglia peschereccia; poche barche da pesca in mare, molte di più a terra in manutenzione e la cosa mi stupisce visto che stiamo in estate e in genere la manutenzione dei natanti si fa nei mesi invernali. Nella zona sud ci sono numerosi cantieri navali di piccole dimensioni; è bello vedere lunghi fili volanti che portano la corrente elettrica dalle case ai cantieri per lo più improvvisati in piccoli appezzamenti di terra.
Le case si presentano quasi tutte con l’esterno in lamiera come il tetto, infissi in legno e il tutto verniciati con colori vivaci, improponibili, con accostamenti mozzafiato. Fortuna che col tempo i colori sbiadiscono dando all’insieme una vivacità variopinta. Spesso le case hanno delle staccionate di legno verniciate di bianco in stile anglosassone che delimitano delle aiuole ben curate con le rose a farla da padrona come in tutte le aiuole viste finora in Patagonia.
Molti murales coprono i pochi muri della città; sono in stile educativo a sfondo nazionalistico tipo se cresciamo noi, cresce il Chile.
Sul lungomare c’è una colonia di cigni dal collo nero che con la loro proverbiale eleganza mangiano e nuotano tutti assieme o si riparano dal vento nascondendo la testa tra le ali. Sono raggruppati nello specchio d’acqua all’ingresso della città lato nord all’altezza della rotonda dove troneggia un Milodonte simbolo della città. Vicino, sul lungomare, le cinque dita che anch’esse hanno a che fare con la storia mitologica della città.
In Cile i pedoni agli incroci privi di semaforo hanno sempre la precedenza sui veicoli anche in assenza delle strisce zebrate che a Puerto Natales sono completamente assenti; gli autisti sono molto rispettosi nei confronti dei pedoni.
Subito fuori città, sul ciglio della strada, c’è un altarino dedicato alla Difunta Correa; generalmente questi altarini sono circondati da bottiglie d’acqua lasciate dai fedeli. Questo è il primo che si trova uscendo dalla città per cui è letteralmente sepolto sotto un cumulo di bottiglie depositate qui da chi intraprende un viaggio in macchina.Le parate dei bus extraurbani sono carine, di legno, sembrano delle piccole casette con vicino il contenitore della basura; la cosa curiosa è che a vista d’occhio non si vedono altre costruzioni al di fuori di queste.
Ci fermiamo in un piccolo agglomerato di case dove c’è un punto di ristoro sulla strada. Oltre al classico palo su cui sono indicate le capitali mondiali con le relative distanze, l’attrattiva del posto è un vecchio condor che sta accovacciato in una cuccia e che scuote in continuazione la testa; fa pena però… siamo al solito dilemma: lasciar morire dignitosamente o prolungare la vita a ogni costo?
Punta Arenas è sul mare e la sua pianta è a quadre con le strade che si intersecano perpendicolarmente le une alle altre come tutte le altre città viste finora. C’è anche una zona alta con tanto di belvedere da cui di vede la tipica architettura… variopinta più alcuni alti palazzi moderni. Le strade che scendono al mare ricordano, con le dovute proporzioni, le strade di San Francisco; per sistemare le panchine in orizzontale hanno creato degli enormi scalini. L’insieme sembra la fermata di una funicolare. Ci sono numerosi palazzi fine ottocento, primi novecento e qualche chiesa.
La Copec è la compagnia petrolifera cilena; i suoi prezzi sono comunque in linea con quelli della Esso e della Shell anch’essi presenti nella Patagonia cilena. Come a Puerto Natales, anche qui non ci sono bus urbani; il servizio è svolto dai taxi. Sono neri con tettuccio giallo; alcuni compiono percossi fissi e sono identificati da un numero e dall’itinerario scritti su una tabella posizionata ben in vista sul tettuccio della vettura. Sono una specie di collettivos.
Numerose sono le scritte sui muri e murales a favore del popolo mapuche. La città ha un’area Porto Franco in cui ci sono un grande centro commerciale e altre attività; purtroppo è domenica e ci siamo dovuti accontentare di vedere le vetrine dei negozi chiusi. L’unico aperto vende attrezzature da campeggio, pesca, ecc. Vicino, ma fuori dall’area Porto Franco, c’è un altro centro commerciale con negozi aperti; i prezzi dell’abbigliamento tecnico sono come i nostri mentre per informatica e fotografia i prezzi a prima vista sono concorrenziali.
Il cimitero ha lunghi viali delimitati da cipressi potati in modo innaturale e di colore verde più chiaro dei nostri; le tombe a terra sono di cemento o delimitate da murettini o recinti in ferro battuto. Ogni tomba porta più lapidi segno evidente che questi fazzolettini di terra ospitano più defunti. Le nicchie hanno un vetro davanti al marmo e nell’intercapedine, protetti dal vento, ci sono oggetti riconducibili al defunto come bamboline e pupazzetti per i bambini.
Alcune frasi scolpite sul marmo bianco sono molto toccanti come quella scritta dai genitori sulla tomba del figlioletto… La vita, per te un’illusione, per noi disperazione.
Come tutte le città che hanno attraversato una propria epoca d’oro questa si riflette anche nei cimiteri con monumentali tombe di personaggi illustri locali; ci sono anche belle cappelle corporative come quelle dei pompieri, dei carabinieri e, vicino all’ingresso, quella degli Italiani; Tra questi la maggior parte erano originari di Secondigliano. C’è il monumento all’Indio; parafrasando il nostro Milite Ignoto possiamo definirlo l’Indio Ignoto. Una statua di bronzo alta un paio di metri che rappresenta un nativo selk’nam e tante piccole lapidi con frasi in suo onore.
Molti fiori, sia veri che finti, ricoprono le tombe sia quelle fresche che quelle vecchie a testimonianza che il culto dei morti è… vivo.
Vicino al cimitero c’è un campo di calcio sintetico su cui due squadre, il Chile e un’altra, stanno disputando una partita del campionato di prima categoria; ci permettono di assistere a qualche minuto di partita assieme ai dieci supporters della squadra locale che gremiscono gli spalti. Appena usciti la squadra di casa ha segnato.
L’albergo Dinma non è lontano dal centro; è caratteristico. Una casetta rossa e una serie di containers in ognuno dei quali sono state ricavate due stanze doppie con bagno; tanti fiori nel giardino e alcuni vecchi macchinari non ben identificati. Ma quello che caratterizza il posto è la generalessa che gestisce il tutto e che abbiamo trovato seduta sulla poltrona a stirare e non si è alzata un attimo; ha una settantina di anni, di origine croata, capelli acconciati alla maniera antica, simpatizzante di… Pinochet.
Tornati dalla cena senza chiave abbiamo scavalcato il cancello scatenando tutti i cani del vicinato più quelli che ci avevano seguito dal centro; questo sommato alle nostre risate ha svegliato la generalessa che è uscita a controllare. Ci ha aperto il cancello anche se ormai eravamo entrati tutti e ci ha intimato di andare a dormire. Eseguiamo l’ordine senza fiatare ma soddisfatti perché consci d’esser stati tra i pochi eletti ad aver avuto l’onore di vederla in piedi.

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